In caso di cessione di calciatore fra società sportive, oggetto del contratto è il diritto alla prestazione sportiva esclusiva per la durata del contratto stesso e tale diritto deve essere considerato un bene immateriale strumentale, generando quindi una plusvalenza o minusvalenza e rientrando il trasferimento del calciatore nella gestione ordinaria "accessoria" della società sportiva. Tale tesi è stata ritenuta corretta dal Consiglio di Stato nel 2012 con parere di cui anche la Corte di Cassazione ha riconosciuto la validità, risolvendo così l’incertezza normativa. Le sanzioni per condotte del contribuente anteriori alla data di pubblicazione del parere del Consiglio di Stato vanno dunque disapplicate.
Il caso – La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 2144 del 25/01/2019, ha chiarito la valenza di plusvalenze ordinarie in caso di cessione di calciatori.
Nel caso di specie, l'Agenzia delle entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di una società calcistica, rettificando il valore della produzione ai fini Irap e riprendendo a tassazione, tra le altre, plusvalenze non dichiarate per euro 72.803.000,00.
Le plusvalenze derivavano dalla cessione dei contratti relativi alle prestazioni sportive dei calciatori della società, costituenti oggetto della gestione ordinaria delle società sportive, con recupero dell'imponibile ai fini Irap, ai sensi dell'art. 11 comma 3 del D.Lgs. 446 del 1997, non potendosi condividere la contabilizzazione in bilancio nella voce del conto economico E 20 tra i proventi e gli oneri straordinari.
Trattavasi invece, secondo l’Amministrazione finanziaria, di cessione del contratto avente ad oggetto il diritto alla prestazione esclusiva del calciatore per la durata del contratto.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso con sentenza poi però riformata dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale accoglieva l'appello proposto dall’Agenzia delle entrate in relazione alle plusvalenze, in quanto il contratto tra le due società sportive aveva ad oggetto il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione sportiva del calciatore. E tale diritto era qualificato come immobilizzazione immateriale, iscritto nell'attivo dello stato patrimoniale, quale bene ammortizzabile.
Veniva comunque accolta la domanda della società di annullamento delle sanzioni, avendo la stessa seguito le indicazione della Federazione Italiana Gioco Calcio.
Proponeva infine ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 6, comma 2, del d.lgs. 472/1997, in quanto non sussistevano, a suo avviso, i presupposti per la disapplicazione della sanzioni, non ravvisandosi l'ipotesi della incertezza obiettiva della normativa in materia.
Con ricorso incidentale, inoltre, la società contribuente si duoleva della violazione e falsa applicazione dell'art. 11, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 446/1997, deducendo che nella specie non v'era stato il trasferimento di un bene o diritto reale, idoneo ad ingenerare plusvalenza, né la cessione di un autonomo diritto di esclusiva.
I beni immateriali, poi, evidenziava la ricorrente incidentale, presuppongono un contenuto di realità e di assolutezza, non rinvenibile, a suo avviso, nella specie, né la cessione del contratto atteneva in realtà alla gestione "ordinaria" delle società sportive.
La decisione – I due motivi, relativi al ricorso principale ed a quello incidentale, secondo la Suprema Corte, erano entrambi infondati.
Quanto al merito, secondo la Cassazione, risultava preliminare l'esame sulla natura di plusvalenza, rilevante ai fini Irap, dei corrispettivi ricevuti dalla società sportiva per la cessione del contratto dei calciatori, laddove, evidenziano i giudici di legittimità, prima della legge n. 91/1981, l'atleta professionista era legato alla società sportiva, oltre che dal contratto di prestazione sportiva, anche dal "vincolo sportivo", che costituiva un rapporto autonomo e distinto, in base al quale la società acquisiva il diritto, esclusivo ed alienabile a terzi, all'utilizzo dell'atleta per l'intera durata della sua carriera sportiva.
La legge 91 del 1981 ha poi però regolamentato in modo diverso la materia, prevedendo, all'articolo 3, che "la prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge".
L'articolo citato disciplina quindi il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso, che si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive.
E l'art. 5, comma 2, prevede poi che "è ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali".
L'art. 11, comma 3, del D.Lgs. 446 del 1997, all'epoca vigente, disponeva infine che "Ai fini della determinazione della base imponibile di cui agli articoli 5, 6 e 7 concorrono (...) in ogni caso, le plusvalenze e le minusvalenze relative a beni strumentali non derivanti da operazioni di trasferimento di azienda".
Ebbene, tanto premesso, la Federazione Italiana Gioco Calcio (FIGC), nell'interpretare l'art. 5 comma 2 della legge 91 del 1981, aveva ritenuto che tale fattispecie si configurasse come una commissione di tre atti distinti:
- l'accordo tra le due società sportive e l'atleta per il trasferimento di questi;
- l'accordo tra le due società per la risoluzione anticipata del contratto di prestazione sportiva in essere;
- la stipulazione di un nuovo contratto tra l'atleta e la nuova società.
Secondo tale interpretazione, pertanto, il corrispettivo versato dalla cessionaria non aveva come causa la cessione del contratto esistente, ma solo la sua anticipata cessazione.
E il diritto a concludere un nuovo contratto, per quanto bene immateriale, non rientrava tra quelli strumentali all'esercizio dell'attività sportiva.
In assenza della stipulazione del nuovo contratto, questo diritto non era quindi suscettibile di alcuna autonoma funzione produttiva, sicché le somme pattuite non costituivano plusvalenze relative a beni strumentali.
L'Agenzia delle entrate, tuttavia, con la Risoluzione 213 del 19-12-2001, ha, invece, optato per la diversa tesi della sussistenza della plusvalenza, trattandosi, a suo avviso, di cessione del contratto, come del resto espressamente previsto all'art. 5 comma 2 della legge 91 del 1981.
Oggetto del contratto è dunque il diritto alla prestazione sportiva esclusiva per la durata del contratto stesso dietro corrispettivo, laddove il diritto all'utilizzo esclusivo deve essere considerato un bene immateriale strumentale.
Si tratta infatti, secondo tale impostazione, di una immobilizzazione, in quanto non esaurisce la propria utilità in un solo esercizio, ma manifesta i suoi benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi, essendo quindi assimilabile ai beni immateriali, e ammortizzabile ai sensi dell'art. 68 D.P.R. 917/1986.
Pertanto, il compenso derivante dalla cessione del bene immateriale strumentale genera plusvalenza o minusvalenza e il trasferimento di un calciatore rientra nella gestione ordinaria "accessoria" di una società sportiva.
Nel conto economico di cui all'art. 2425 c.c. le plusvalenze vanno, quindi, indicate alla voce A n. 5 "altri ricavi e proventi", non come proventi straordinari di cui alla voce del conto economico E 20.
E il compenso va, allora, iscritto tra le immobilizzazioni materiali dello stato patrimoniale, alla voce BI 7.
Tale tesi, ricorda ancora la Suprema Corte, è stata del resto ritenuta corretta dal Consiglio di Stato, nel parere n. 5285/2012 dell'11-12-2012 e la giurisprudenza di legittimità (Cass.Civ., 2 dicembre 2015, n. 24588) ha sostanzialmente riconosciuto la validità della interpretazione normativa fornita dal Consiglio di Stato, eliminando l'applicazione delle sanzioni, per condotte del contribuente anteriori all'11-12-2012, data di pubblicazione del parere del Consiglio di Stato stesso, che ha eliminato i dubbi al riguardo.