L’Agenzia delle Entrate dedica la risposta ad interpello n. 710 del 15 ottobre 2021 al Carried interest.
Tra le diverse considerazioni, precisa che, la presenza delle clausole di good o bad leavership costituisce un indicatore utile a collegare il provento dell’impegno profuso dal manager nell’attività lavorativa (e quindi a produrre reddito di lavoro). Tuttavia, non può escludersi che la ricorrenza di altri elementi di segno opposto, quali, ad esempio, l’esposizione ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, possano far propendere per la natura finanziaria del provento.
Viceversa, consentire al manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro costituisce un’indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l’attività lavorativa del manager, ed indica la natura finanziaria del reddito in questione.
In buona sostanza, il fine dei Carried Interest è quello di allineare gli interessi e i rischi dei manager con quelli degli investitori.
La normativa– L’
articolo 60, comma 1, del decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017 stabilisce che i
“proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi collegati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, si considerano in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi”.
La presunzione in questione, operante ope legis, è, tuttavia, applicabile in presenza di determinati requisiti, ovvero:
- l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;
- i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suesposti diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’OICR abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;
- le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suesposti diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti da dipendenti e amministratori e, in caso di decesso, dai loro eredi per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione.
La sussistenza di tali requisiti rappresenta la garanzia di un allineamento tra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito, nonché ciò che costituisce la ratio dell’assimilazione dei proventi ai redditi di natura finanziaria.
Carenza dei presupposti previsti dalla norma – Il Fisco con la
circolare n. 25/E del 16 ottobre 2017 ha chiarito che la carenza di uno o più presupposti previsti dalla norma non determina l’automatica qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa, ma richiede lo svolgimento di un’analisi volta a verificare, caso per caso, l’idoneità dell’investimento a determinare quell’allineamento che consente di attribuire alle somme natura finanziaria.
In merito, il medesimo documento di prassi ha chiarito che l’eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le stesse caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), nonché la presenza di una adeguata remunerazione per l’attività lavorativa svolta da parte del manager possono fungere da indicatori della natura finanziaria del reddito.
Un ulteriore criterio di valutazione consiste nell’idoneità dell’investimento - anche in termini di ammontare - a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e management e la conseguente esposizione di quest’ultimo al rischio di perdita del capitale investito.
Fondi di grandi dimensioni – Con riferimento ai fondi di grandi dimensioni, un aggiuntivo elemento di valutazione è desumibile dalla relazione illustrativa del citato decreto.
Nella stessa, infatti, è precisato che azioni, quote o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati possono essere detenuti anche da altri investitori, dalla stessa società di gestione o dai relativi soci.
L’eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), può essere un indicatore della natura finanziaria del reddito in questione, nella misura in cui riflette la remunerazione del rischio di perdita assunto con l’investimento.