10 maggio 2018

Contratti di finanziamento. Sì agevolazioni con recesso anticipato

Autore: Giovambattista Palumbo
La pattuizione di una clausola risolutiva o di recesso a favore dell'ente erogante, ricollegata alla sussistenza di una giusta causa, non determina il venir meno della ratio agevolativa sottesa all’imposta sostitutiva sui contratti di finanziamento a medio-lungo termine, sempreché tale anticipata risoluzione sia collegata a circostanze di fatto obiettivamente accertabili e non rimesse al mero arbitrio dell'istituto finanziario.

Il caso - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 9506 del 18/04/2018, ha chiarito quali sono i presupposti per poter applicare l’imposta sostitutiva sui finanziamenti a medio-lungo termine, sia pur in presenza di clausola di recesso a favore dell’istituto finanziario.

Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per la cassazione della sentenza con la quale la CTR della Sicilia, a conferma della decisione di primo grado, aveva ritenuto illegittimi gli avvisi di liquidazione notificati ad un istituto di credito, in revoca dell'agevolazione su imposta ipotecaria e di bollo, da quest'ultimo fruita, ex art.15 dpr 601/73, su contratto di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria.

La CTR aveva in particolare rilevato che:
  • il contratto di finanziamento aveva durata superiore a quella minima, legalmente richiesta (18 mesi ed un giorno);
  • la revoca dell'agevolazione non era giustificata dalla clausola di recesso anticipato, essendo quest'ultima prevista in via generale dal legislatore (Dl n.7/07, c.d. decreto Bersani, conv. in L. n.40/07) a tutela del contraente debole.

L'Agenzia delle Entrate lamentava però violazione o falsa applicazione degli artt. 15 u.c., Dpr 601/73 e 1362 segg. del codice civile, per avere la CTR omesso di considerare che ciò che ostava all’agevolazione in questione era la clausola di recesso anticipato (anche prima del suddetto termine legale minimo), così come nella specie riconosciuta a favore - non già del debitore, secondo quanto previsto dal 'decreto Bersani' - bensì della banca creditrice.

La decisione - Secondo la Suprema Corte, pur essendo il ricorso infondato, la ratio decidendi adottata dalla CTR doveva in effetti ritenersi non pertinente.

Il problema controverso non verteva infatti sulla non riconoscibilità dell'agevolazione ex art.15 Dpr 601/73 in presenza di clausola contrattuale di recesso anticipato a favore del soggetto finanziato, bensì sul fatto che si fosse in presenza della medesima clausola a favore della banca erogante.

Per quanto concerneva il primo aspetto, la stessa Amministrazione finanziaria conveniva sul fatto che l'estinzione anticipata del mutuo concretava l'esercizio di un diritto del mutuatario, riconosciuto - prima che dal contratto - dalla legge e dalla giurisprudenza della Corte, laddove la sentenza n. 9931/08 aveva affermato che "la facoltà del debitore di adempimento anticipato delle obbligazioni assunte nei contratti di finanziamento a medio e lungo termine, essendo riconosciuta dalla legge come condizione di favor per il soggetto finanziato, quale contraente debole in un rapporto asimmetrico, non determina la decadenza dai benefici fiscali dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 15, anche qualora tale facoltà sia esercitabile prima che decorra la durata minima contrattuale considerata dalla norma agevolativa".
La CTR, secondo la Corte, doveva però farsi carico del fatto che tale revoca era stata disposta dall'Agenzia per la diversa ragione che il contratto di finanziamento ipotecario in oggetto conteneva una clausola di recesso unilaterale a favore della banca.

E, in tale situazione, l'indirizzo interpretativo dell'art.15 cit. di cui dare conto era allora quello in base al quale: "ciò che assume rilievo determinante è l'assunzione di un vincolo negoziale per un arco di tempo minimo stabilito dalla legge, indipendentemente dalle vicende successive del rapporto", in maniera tale "che la previsione, nel contratto di finanziamento, di una clausola in base alla quale l'azienda di credito ha la facoltà di recedere unilateralmente e senza preavviso anche prima della scadenza dei 18 mesi, priva dall'origine il credito della sua natura temporale (medio-lunga) richiesta dalla norma di agevolazione tributaria, degradando la durata del rapporto ad elemento variabile in funzione dell'interesse dell'azienda di credito" (Cass. 28879/08, con richiamo a Cass. 1585/94, 11165/05, 14046/06; nello stesso senso, più di recente, Cass. 12928/13 e 2188/15).

Concludeva dunque la Corte che, nel caso di specie, si trattava di verificare l'applicabilità di tale indirizzo, del tutto pacifico allorquando si verta di clausola di recesso ad nutum, anche all'ipotesi di recesso consentito alla banca non ad nutum, ma soltanto per giusta causa.

E i giudici di legittimità, “pur nella consapevolezza di taluni precedenti di segno contrario (Cass.2188/15; Cass.4792/02)” ritengono che la pattuizione di una clausola risolutiva o di recesso a favore dell'ente erogante - ricollegata alla sussistenza di gravi inadempimenti e, comunque, di una giusta causa impeditiva del normale svolgimento del rapporto - non determini il venir meno della ratio agevolativa, essendo anzi la stessa clausola assoggettata, a tutela del contraente debole, al vaglio giudiziale circa l'effettiva rispondenza a giusta causa dell'evento ostativo alla prosecuzione del rapporto, e sempreché, come osservato da un risalente ma sempre attuale indirizzo di legittimità in materia, "tale anticipata risoluzione sia collegata a circostanze di fatto obiettivamente accertabili e non rimesse al mero arbitrio dell'istituto mutuante" (Cass. 4470/83).

Osservazioni - Si osserva comunque che la Corte di Cassazione si era già recentemente espressa, in senso difforme a quella in commento, su un caso del tutto similare, con la sentenza n. 7651 del 28.03.2018, affermando che ai fini della applicabilità dell'imposta unica, sostitutiva delle imposte ipotecarie, alle operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine, il presupposto di durata del vincolo contrattuale di più di diciotto mesi ricorre soltanto se la durata della operazione di finanziamento, che va desunta dalle clausole contrattuali del negozio sottoposto ad imposizione “e non già dall'evolversi successivo del rapporto”, supera di almeno un giorno i diciotto mesi. La previsione, nel contratto di finanziamento, di una clausola in base alla quale le parti hanno la facoltà di recedere unilateralmente e senza preavviso anche prima della scadenza dei diciotto mesi, determina dunque l’inapplicabilità del beneficio.

Anche in quel caso l'Agenzia del Territorio revocava i benefici fiscali concessi ex art. 15 D.P.R. n. 601 del 1973 ed emetteva avviso di liquidazione per il recupero delle maggiori imposte in relazione ad un contratto di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria stipulato tra una Banca e una società, in quanto le parti avevano previsto, per la Banca, la facoltà di recedere in qualsiasi momento dall'apertura di credito.

E però in quel caso i giudici hanno ritenuto che ciò che assume rilievo ai fini della spettanza dell’agevolazione è la durata dell'operazione stabilita contrattualmente, laddove la previsione, nel contratto di finanziamento, di una clausola in base alla quale l'azienda di credito ha la facoltà di recedere unilateralmente anche prima della scadenza dei diciotto mesi, priva "dall'origine il credito della sua natura temporale (medio lunga), richiesta dalla norma di agevolazione tributaria, degradando la durata del rapporto ad elemento variabile in funzione dell'interesse dell'azienda di credito" (cfr Cass.2190/2015), con la conseguente inapplicabilità al relativo contratto del "beneficio" in questione.

A prescindere dagli oscillamenti giurisprudenziali, si evidenzia comunque che la circostanza che l'estinzione anticipata del debito relativo a finanziamenti a medio-lungo termine non precluda la possibilità di godere del regime fiscale agevolato previsto dall’art. 15 del DPR 601/73 viene giustificato, come visto, anche dall’Amministrazione Finanziaria, dall’intento di tutelare il contraente debole (debitore), potenzialmente esposto a disequilibri contrattuali, non essendo pertanto possibile ipotizzare conseguenze negative sul piano fiscale (in termini di perdita di benefici fiscali), correlate alla previsione espressa nel contratto della facoltà di adempimento anticipato da parte del debitore.

Anche tale conclusione, a ben vedere, non sembra però coerente.

L'imposta sostitutiva in oggetto non è dovuta infatti dai soggetti mutuatari, ma dalle banche finanziatrici, come, in realtà chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 85/E del 12 luglio 2006, laddove, ribadendo peraltro quanto già detto nella Risoluzione n. 162/05, l’Amministrazione affermava che “L'articolo 17 del Dpr 29 settembre 1973, n. 601 (…) stabilisce che i soggetti passivi che "…sono tenuti a corrispondere, in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali e delle tasse sulle concessioni governative, una imposta sostitutiva" sono esclusivamente "gli enti che effettuano le operazioni indicate negli articoli 15 e 16…", ai quali la norma non attribuisce alcun diritto od obbligo di rivalsa nei confronti del mutuatario” e pertanto nessuna conseguenza negativa, ex lege, potrebbe in ogni caso ricadere su detti mutuatari.

E la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2188 del 6 febbraio 2015, ha infatti chiarito che ogni clausola contrattuale che trasli, di fatto, il pagamento dell’imposta sui mutuatari sarebbe comunque da considerarsi nulla.
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