Se le specifiche annotazioni in contabilità di ratei e risconti non vengono contestate, deve procedersi alla individuazione dei ricavi di competenza dell'anno tenendo conto anche di questi. In tema poi di interessi passivi sussiste, in ogni caso, l'inerenza al reddito di impresa, spettando comunque all’Amministrazione dimostrare le ragioni della contestazione della deducibilità.
Il caso – La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 30334 del 23/11/2018, ha chiarito quali sono i termini di corretta applicazione della disciplina fiscale in tema di ratei, risconti ed interessi passivi.
Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento a carico di una società semplice e dei relativi soci, i quali impugnavano gli avvisi, evidenziando, tra l'altro, che vi era stata violazione del principio di competenza ed illegittimo recupero degli interessi passivi bancari.
La Commissione Tributaria Provinciale di Bari rigettava i ricorsi riuniti.
Avverso tale decisione, sia i soci che la società proponevano appello, rilevando, tra l'altro, la nullità della sentenza per omessa motivazione, l'errata applicazione del principio di cassa anziché di competenza, in quanto sul registro degli acquisti erano riportati i ratei attivi ed i risconti passivi, i quali sommati algebricamente al volume di affari, davano i ricavi dichiarati, e che la Agenzia non aveva indicato quali erano le operazioni personali dei soci compiute sul conto della società, per cui si impediva la deduzione degli interessi passivi, laddove, comunque, per gli interessi passivi si doveva escludere qualsiasi giudizio in ordine alla inerenza.
La Commissione Tributaria Regionale della Puglia accoglieva solo in parte l’appello presentato dalla società e dai soci, riconoscendo la deducibilità di alcuni costi relativi a recuperi “minori”. La CTR rigettava, invece, le altre doglianze, evidenziando, quanto ai maggiori ricavi, che le differenze riscontrate nell'ammontare dei ricavi oggetto di contestazione, laddove i contribuenti avevano rilevato esserci dei ratei attivi con annotazione a piè di pagina del registro delle vendite, non erano state opportunamente contabilizzate, e che gli interessi passivi non erano deducibili in quanto sul conto corrente bancario della società risultavano movimentazioni personali e prelievi effettuati con assegni della società senza annotazioni in ordine al pagamento effettuato.
Avverso tale sentenza la società ed i soci presentavano infine ricorso per Cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa o contraddittoria motivazione, sia con riferimento ai maggiori ricavi accertati, sia in relazione alla omessa deduzione degli interessi passivi.
In particolare, con riferimento ai maggiori ricavi ripresi a tassazione, i ricorrenti rilevavano che, in sede di accertamento, non si era tenuto conto del principio di competenza, ma di quello di cassa, sicché non erano stati considerati i ratei ed i risconti attivi e passivi risultanti dalla contabilità, benché le annotazioni dei ratei e dei risconti non fossero state contestate dall’Agenzia delle Entrate.
Quanto poi agli interessi passivi, questo, secondo i ricorrenti, dovevano essere considerati inerenti.
La decisione - Le censure, secondo la Suprema Corte, erano fondate.
Rilevano infatti i Giudici di legittimità che l'Agenzia delle Entrate non aveva contestato l'esistenza dei ratei e dei risconti attivi e passivi annotati sulle scritture contabili, sicché, in assenza di specifica contestazione, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., i ratei e risconti attivi e passivi dovevano essere tenuti nella dovuta considerazione.
Un risconto, infatti, evidenzia la Corte, è la quota parte di un costo o di un ricavo già contabilizzato, ma non interamente di competenza e, pertanto, da rinviare, in parte, al futuro esercizio.
Un rateo è invece un costo o ricavo, non ancora rilevato, ma di competenza e, pertanto, da rilevare a integrazione dei valori che compongono il bilancio.
Queste valutazioni non erano state effettuate dall’Agenzia delle Entrate, né la CTR aveva motivato in modo sufficiente sul punto.
In realtà, come detto, le specifiche annotazioni di ratei e risconti risultavano non contestate, sicché doveva procedersi alla individuazione dei ricavi di competenza dell'anno, tenendo conti dei ratei e dei risconti indicati dai contribuenti.
Anche la doglianza in ordine alla erronea omessa deduzione degli interessi passivi, secondo la Suprema Corte, era fondata, dato che, con riferimento agli interessi passivi sussisteva, in ogni caso, l'inerenza al reddito di impresa (Cass. Civ., 21 novembre 2011, n. 14702) e spettando comunque all’Agenzia delle Entrate dimostrare le ragioni della contestazione della deducibilità, essendo tra l’altro pacifico che il conto corrente era proprio della società e che su tale conto erano maturati gli interessi passivi.
Doveva quindi essere l'Amministrazione a dimostrare che, in realtà, tale inerenza non sussisteva per l'improprio utilizzo del conto corrente bancario della società mediante prelevamenti dei soci.
Osservazioni – Si ricorda che il diritto alla deducibilità degli interessi passivi trova fondamento nell’art. 109, comma 5, Tuir, in tema di inerenza, e non nell'art. 63, che attiene esclusivamente alla misura della deduzione, secondo prefissati limiti quantitativi.
La precisazione secondo cui «le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi che concorrono a formare il reddito», indica peraltro la chiara volontà di riconoscere un trattamento differenziato per gli interessi passivi, rispetto ai vari componenti negativi del reddito di impresa.
Gli interessi passivi sono, infatti, oneri che afferiscono all'impresa nel suo essere e progredire, e non possono essere specificamente ritenuti accessori ad un particolare costo, occorrendo, però, comunque, un collegamento tra attività imprenditoriale e componente negativo detraibile.
Vero è che, come ha stabilito la stessa Cassazione, con la Sent. n. 25652 del 15/10/2018, in assenza di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l'operazione, gli interessi passivi conseguenti alla stessa possono essere considerati indeducibili.
Però in quel caso non si controverteva dell’inerenza o meno del costo, quanto di elusione dell’operazione. E l'affermazione della CTR, secondo cui il finanziamento bancario era sostenuto da valide ragioni economiche, non risultava essere stata accompagnata da una sufficiente indicazione degli elementi da cui era stata fatta discendere, idonea a consentire il superamento della valenza indiziaria degli elementi addotti dall'Ufficio, che deponevano invece nel senso della preordinazione dell’operazione al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti.