3 ottobre 2018

Disconoscimento della natura di associazione non commerciale

La natura dell’Ente si valuta in base all'attività effettivamente esercitata

Autore: Giovambattista Palumbo
Deve essere disconosciuta la natura non commerciale di un ente, laddove, da una valutazione globale dei comportamenti, risulti l'assenza di un effettivo rapporto associativo e una gestione sostanzialmente privatistica dell'associazione. L’art. 149 del TUIR indica i parametri a cui far riferimento per la perdita della qualifica di ente non commerciale, compresa l'assenza nei rendiconti di qualsiasi riferimento a proventi e beni di carattere istituzionale.

Il caso – La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con la sentenza n. 798/4/18 del 14 settembre 2018, ha risolto un contenzioso in tema di disconoscimento della natura non commerciale di un’associazione.
Nel caso di specie, un’associazione sportiva dilettantistica aveva impugnato l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate, a seguito di PVC della GdF, dal quale era emerso che l'attività svolta dall'organizzazione, consistente nell'organizzazione di gite scolastiche e centri estivi per ragazzi nel periodo primavera-estate, era in realtà un’attività commerciale.

Veniva pertanto dichiarata la decadenza dalle agevolazioni previste dalla L 398/91 e accertati il volume di affari imponibile ai fini IVA e il reddito imponibile a fini Ires, oltre che i compensi corrisposti a collaboratori e animatori, sui quali era stata omessa la ritenuta Irpef.
Gli elementi essenziali che connotavano lo svolgimento di attività commerciale, secondo l’Amministrazione finanziarie, erano in particolare i seguenti:
  • sede presso l'abitazione di uno dei soci fondatori e assenza di locali per attività associazione, con impossibilità di libero accesso dei soci;
  • collaboratori e animatori privi di certificazione e/o brevetto sportivo rilasciato da enti federali;
  • attività organizzativa, di rappresentanza e di gestione finanziaria svolta da due soli fratelli, che percepivano somme a titolo di rimborso spese e compensi per prestazioni sportive dilettantistiche;
  • centri estivi organizzati in un immobile di proprietà di uno dei fratelli.

L'atto costitutivo e lo statuto, inoltre, prevedevano adempimenti essenziali di cui però non risultavano evidenze reali (primo patrimonio sociale, versamento delle quote di adesione, domande scritte di adesione a socio, previsioni e rendiconti finanziari etc.) e il libro dei soci riportava nominativi di soggetti legati ai referenti da vincoli di parentela e affettivi, di soggetti che svolgevano attività per l'associazione, di minori che usufruivano delle prestazioni, di soggetti che risiedevano in altra Regione.
Veniva infine riscontrata anche l’assenza di reale partecipazione dei soci alla vita dell'associazione, l’iscrizione al Registro regionale delle associazioni di promozione sociale, con presentazione annuale di modelli non veritieri per quanto riguardava cariche sociali, composizione sociale, consiglio direttivo e assemblea, l’assenza di un registro di entrate e uscite e incongruenze tra movimenti finanziari e risultanze del conto corrente bancario, sui cui venivano operati prelevamenti anche nei periodi di inattività dell'associazione e operazioni non riferibili alla stessa.

Il ricorrente, per conto suo, chiedeva l'annullamento dell'atto impugnato, affermando che le irregolarità contestate erano solo di tipo formale, laddove, a suo avviso, l’effettività del rapporto associativo era in realtà un diritto per gli associati, che non erano obbligati ad esercitarlo.
La perdita della qualifica di ASD, per l'Associazione, che risultava regolarmente iscritta al Registro Regionale, secondo il ricorrente, non poteva quindi essere fondata solo su elementi formali, dovendo poggiare su aspetti sostanziali, che l’Ufficio non aveva dimostrato.

La decisione - La Commissione Tributaria, esaminata la documentazione prodotta dalle parti, respingeva il ricorso.
Evidenziano infatti i giudici di merito che in questi casi è necessaria una valutazione globale dei comportamenti, da cui risulti il rispetto, in concreto, di modalità volte a garantire l'effettività del rapporto associativo.
Gli elementi su cui si fondava l'atto impugnato attenevano peraltro a comportamenti concreti, che evidenziavano l'assenza di un effettivo rapporto associativo e una gestione sostanzialmente privatistica dell'associazione da parte dei due fratelli e dei loro familiari, sia per quanto riguardava la mancanza di una concreta partecipazione degli altri associati alle decisioni e sia per quanto riguardava la gestione finanziaria, come rilevato anche dall'utilizzo del conto corrente bancario, con bonifici, per importi rilevanti non giustificati, a favore della moglie di uno dei due fratelli.
La CTP evidenzia del resto come l'art. 149 del TUIR indica i parametri a cui far riferimento per la perdita della qualifica di ente non commerciale, laddove l'assenza nei rendiconti di qualsiasi riferimento a proventi e beni di carattere istituzionale non può che evidenziare la prevalenza dell'attività commerciale.

Conclusioni – La possibilità di usufruire dell'agevolazione di cui all'art. 4 del Dpr n. 633 del 1972 e 148 del TUIR deriva dal concorso di due circostanze:
  • dall'esclusione della qualificazione dell'attività svolta come attività commerciale, in ragione dell'affinità e strumentalità della stessa con i fini istituzionali;
  • dallo svolgimento dell'attività unicamente in favore dei soci.

Gli enti associativi, in conclusione, non godono di uno status di extrafiscalità, che li esenti, per definizione, da ogni prelievo fiscale, occorrendo sempre tenere conto della natura delle attività svolte in concreto.
E l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'agevolazione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 c.c..
L'attenzione dei controlli si concentrerà, del resto, in questi casi, sull'esercizio dell'attività complessivamente svolta dall'ente, valutando se le attività siano tali, per la loro natura e per le modalità di esercizio, da distorcere le finalità istituzionali per le quali l'ente stesso si è, almeno da un punto di vista formale, costituito, così da rendere l'espressione ente non commerciale un mero schermo all'esercizio, in condizioni fiscali di favore, di un'autentica attività commerciale.
Del resto, se è vero che, ai fini della qualificazione di un Ente come commerciale o non commerciale, occorre anzitutto avere riguardo alle previsioni contenute nello Statuto, nell'atto costitutivo o nella legge, è però anche vero che, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'oggetto principale dell'Ente deve essere determinato in base all'attività effettivamente esercitata.
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