Affinché la Banca sia ammessa al passivo fallimentare con prelazione, è sufficiente che la lettera di pegno riporti la sottoscrizione del cliente, poi fallito. La scrittura proveniente dal solo datore del pegno è, infatti, idonea a integrare il documento richiesto dall'art. 2787 comma 3 cod. civ.
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A precisarlo è la Corte di Cassazione (Sez. 6 civ., Ord. n. 3199 del 4 /02/2019).
Il caso. Il caso riguarda una Banca che ha presentato domanda di insinuazione con
prelazione pignoratizia nel passivo fallimentare di una S.r.l., intitolando la richiesta “rapporti di mutuo e di conto corrente”.
Il Giudice delegato ha ammesso il credito in via chirografaria, ritenendo
non opponibili alla Curatela gli atti costitutivi del pegno.
In seguito il Tribunale ha ritenuto fondata l'opposizione proposta dalla Banca motivando che,
«in tema di pegno, la forma scritta è prevista dall'art. 2787 comma 3 cod. civ. ai soli fini della prelazione del creditore pignoratizio sulla cosa oggetto della garanzia, mentre la convenzione costitutiva del pegno si perfeziona, ai sensi dell'art. 2786 cod. civ., con la consegna della cosa al creditore. Anche a volere considerare i contratti stipulati nel caso di specie come contratti bancari soggetti alla disciplina dell'art. 117 TUB, comunque essi sarebbero validi, poiché risultano stipulati per iscritto e sottoscritti dal debitore costituente il pegno (….); la Banca, producendoli in giudizio, ha dimostrato di volersene avvalere».
Stante quanto sopra, la Curatela fallimentare si è rivolta ai giudici legittimità deducendo
l’errata o falsa applicazione di legge (tra gli altri, degli artt. 2704, 2787, comma 3, cod. civ.).
In particolare, secondo la Curatela, la Banca ha prodotto lettere di pegno sottoscritte solo dal cliente e non anche dai rappresentati della Banca stessa. Essendo la forma scritta necessaria (se anche non per la validità del contratto, comunque) per l'operare della prelazione, la stessa non può dirsi rispettata nel caso concreto, in ragione, appunto, della mancata presenza della sottoscrizione della Banca.
Ebbene, tale censura non ha colto nel segno.
La decisione della S.C.Gli Ermellini,
nel respingere il ricorso, hanno richiamato il recente insegnamento delle Sezioni Unite (Sent. n. 898/2018), secondo cui il
«requisito della forma scritta del contratto quadro, posto a pena di nullità (azionabile solo dal cliente) dall'art. 23 d.lgs. n. 58/1998 va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia la cliente; ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo e non anche quella dell'intermediario».
Le pronunce che sono seguite all'enunciazione del suddetto principio di diritto (cfr., tra le altre, Cass., n. 16070/2018) lo hanno ritenuto
applicabile anche alla materia dei contratti bancari, che interessa direttamente nel caso in esame.
Gli Ermellini aggiungono che, con riferimento alla materia del pegno in generale - anche fuori, cioè, dall'ambito della normativa specifica ai rapporti bancari -, «
non è comunque da dubitare dell'idoneità della scrittura proveniente dal solo datore del pegno a integrare il documento richiesto dalla norma dell'art. 2787 comma 3 cod. civ. La garanzia pignoratizia è “naturalmente” destinata, invero, a conferire al creditore garantito pure il rango della prelazione: sì che la scrittura in discorso non esprime, né riporta, uno autonomo e specifico patto da hoc, rivestendo, piuttosto, il ruolo di mera documentazione concretizzativa degli effetti tipici della struttura negoziale del pegno (c.d. forma ad regularítatem; valore negoziale autonomo possiederebbe, semmai, il patto con cui datore e creditore intendano escludere - dall'ambito dell'operazione di pegno nella specie posta in essere - l'effetto della prelazione)».
Infine, gli Ermellini hanno rilevato che la Banca ha prodotto una sentenza del Tribunale relativa a un diverso procedimento tra le stesse parti, che, fra l’altro, ha stabilito la sussistenza della
certezza di data della scrittura di pegno oggetto di controversia.
In conclusione, i Massimi giudici non hanno ravvisato alcuna valida ragione giuridica per accogliere il ricorso presentato dalla Curatela fallimentare, che pertanto ha subito la condanna al pagamento delle spese relative all’ultimo grado di giudizio.
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1Art. 2787 cod. civ.
Prelazione del creditore pignoratizio.
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Il creditore ha diritto di farsi pagare con prelazione sulla cosa ricevuta in pegno.
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La prelazione non si può far valere se la cosa data in pegno non è rimasta in possesso del creditore o presso il terzo designato dalle parti.
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Quando il credito garantito eccede la somma di € 2,58, la prelazione non ha luogo se il pegno non risulta da scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa.
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Se però il pegno risulta da polizza o da altra scrittura di enti che, debitamente autorizzati, compiono professionalmente operazioni di credito su pegno, la data della scrittura può essere accertata con ogni mezzo di prova.