26 gennaio 2018

Il raddoppio dei termini non si applica alle dichiarazioni Irap

Autore: PAOLA SABATINO
L’istituto del raddoppio dei termini, è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’articolo 37, commi 24 e 25, del D.L. n.223/2006, che ha modificato sia l’articolo 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 che l’articolo 57 del D.P.R. n. 633 del 1972.

In particolare, con l’introduzione del comma 2-bis si è previsto che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.

Il legislatore, in attuazione della legge fiscale (legge n.23/2014), in merito alla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente in corso di approvazione definitiva, ha statuito che il raddoppio dei termini per l’accertamento può operare se la notizia di reato arriva entro i termini ordinari di decadenza, quindi, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ovvero, in caso di omissione o di nullità della dichiarazione, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. La modifica, in realtà recepisce quanto già la giurisprudenza ha applicato, e applica, ai casi in cui la notizia di reato non è stata presentata entro il termine ordinario di decadenza dell’azione di accertamento.

L’istituto del raddoppio dei termini accertativi ha subito una rilevante modifica sia ad opera del DLgs n.128/2015 sia dalla legge n.208/2015, legge di Stabilità 2016.

L’articolo 2, del DLgs n.128/2015, ha modificato l’articolo 43 del D.P.R. n.600/73, rubricato “termini per l’accertamento”, con riguardo alle imposte sui redditi, e l’articolo 57, del D.P.R. n.633/72, riguardante i termini per l’accertamento in materia di IVA. In base alle modifiche, il raddoppio dei termini non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione Finanziaria, sia trasmessa oltre la scadenza dei termini ordinari. Come regime transitorio, la norma dispone che, sono fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento e dei provvedimenti di irrogazione delle sanzioni già notificati alla data del 2 settembre 2015, a prescindere cioè dalla data di inoltro della notizia di reato.
Tuttavia, l’articolo 1, commi da 130 a 132, della legge n.208/2015, ha eliminato il raddoppio dei termini per l’accertamento in presenza di reati tributari, allungando i termini ordinari per la notifica degli atti di accertamento da 4 a 5 anni portandoli da 5 a 7 anni, rispettivamente, in caso di dichiarazione presentata o omessa/nulla. La disposizione prevede che, i nuovi termini decadenziali si applicano a partire dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2016. In merito alle pregresse annualità d’imposta, il comma 132 della legge di Stabilità 2016, dispone che gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, ovvero, in caso di omissione o di nullità della dichiarazione, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Gli orientamenti - Sembra opportuno evidenziare che l’istituto del raddoppio dei termini è stato oggetto di numerose pronunce, in modo particolare con riferimento all’applicazione di tale istituto all’IRAP.
Su tale argomento, la Cassazione si è più volta espressa, affermando che, il raddoppio dei termini previsto per le imposte sui redditi dall’articolo 43, comma 3, del DPR n. 600/73 e per l’Iva dall’articolo 57, comma 3 del DPR 633/72, non può essere applicato all’IRAP, non essendoci norme incriminatrici penali in ordine alla citata imposta.
A riguardo si vuole ribadire un principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4775, depositata in data 11 marzo 2016, con la quale ha affermato che: “il raddoppio dei termini essendo diretto alle imposte dirette ed all’iva non può riguardare l’Irap e quindi, nulla può essere eccepito ai fini IRAP”.
Recentemente, su tale argomento si è nuovamente pronunciata la Suprema Corte, con la sentenza n.1425 del 19 gennaio 2018.

Il caso - Il caso trae abbrivio, dal ricorso proposto per Cassazione dall’Agenzia delle Entrate, contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, la quale aveva accolto parzialmente l’appello proposto da una S.p.A., relativamente ad avvisi di accertamento riguardanti IVA, IRES e IRAP. Nello specifico, la CTR, accogliendo l’appello proposto dalla Società, dichiarava non dovuta l’IRAP e riconosceva la detraibilità dell’IVA, in quanto il potere di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria era decaduto, nonostante la presenza di un reato tributario. Ciò in quanto le violazioni per l’IRAP non possono mai costituire un reato tributario, pertanto, non operava il raddoppio dei termini.
Avverso la sentenza, ricorre per Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi ad un unico motivo.
Nello specifico, l’Ufficio ritiene che, l’errore in cui è incorso il Giudice di appello è quello di ritenere non applicabile l’istituto del raddoppio dei termini all’IRAP.

I motivi della decisione - Secondo i Supremi Giudici, il ricorso è infondato in quanto “non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento quale applicabile ratione temporis”.

Secondo i giudici di legittimità, l’inapplicabilità del termine lungo discende proprio dal mancato inserimento delle violazioni relative all’IRAP tra le ipotesi delittuose previste dal DLgs n.74/2000. Il citato decreto, infatti, ricomprende in modo espresso solamente i reati di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Una diversa interpretazione, continuano ancora gli ultimi giudici, si pone in contrasto con il divieto di analogia, ai sensi di quanto espressamente previsto dall’articolo 25, comma 2, della Costituzione.
Infine, i Supremi Giudici, rilevano che, la stessa Agenzia delle Entrate con la Circolare n.154/E/2000, ha precisato che, sono escluse dalla fattispecie criminosa le dichiarazioni ai fini IRAP e che, nel caso in cui la dichiarazione sia presentata in forma unificata, acquistano rilievo (penale) solamente le violazioni in materia di imposte dirette e IVA.

Osservazioni - La pronuncia della Suprema Corte conferma l’orientamento già espresso della Cassazione con la sentenza n.20435/2017. In sostanza, i giudici, ritengono che il raddoppio dei termini di decadenza per la notifica degli accertamenti derivanti da comunicazioni di notizia di reato non si applicano alle dichiarazioni IRAP.

Pertanto, non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali, in relazione alla stessa non può operare la disciplina relativa al raddoppio dei termini. La legge n. 74/2000, infatti, non prevede come reato l’evasione dell’IRAP, di conseguenza, non è consentito emettere un avviso di accertamento oltre gli ordinari termini poiché il raddoppio può aver luogo solamente a condizione che la violazione comporti un obbligo di denuncia penale, per uno dei reati contemplati dalla su citata legge.

Si può concludere, quindi, che la giurisprudenza prevalente è concorde nel ritenere che all’IRAP non si applica il raddoppio dei termini.
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