27 novembre 2018

Interessi anatocistici e danno da svalutazione

Autore: Giovambattista Palumbo
Gli interessi anatocistici, fino a quando erano dovuti, decorrevano, in presenza delle condizioni che li rendevano liquidabili, dalla domanda giudiziale. Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria, può liquidarsi il danno da svalutazione monetaria, sempre che il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell'inflazione e salva l'applicazione di un particolare rigore nella valutazione del materiale probatorio.

Il caso – La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 28670 del 09/11/2018, ha risolto un interessante contenzioso in tema di interessi anatocistici e danno da svalutazione.

Nel caso di specie, i contribuenti, con la Dichiarazione Iva del 1983, chiedevano a rimborso la somma di lire 212.040.000, che, negato dall'Amministrazione finanziaria, veniva definitivamente riconosciuto a seguito di sentenza della Corte di Cassazione nel 1999.
L'Amministrazione procedeva, quindi, al pagamento di quanto dovuto in diverse rate, imputate prima al capitale e poi agli interessi, modalità ritenute insoddisfacenti dai contribuenti, i quali chiedevano il pagamento delle maggiori somme derivanti dalla diversa imputazione dei pagamenti parziali (prima agli interessi e poi al capitale), oltre al riconoscimento degli interessi anatocistici e al maggior danno da svalutazione.
L'impugnazione avverso il silenzio rifiuto dell'Agenzia delle Entrate, accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale, era poi respinta dal Giudice d'appello.

I contribuenti ricorrevano quindi per cassazione, lamentando che la CTR aveva erroneamente escluso l'applicazione dell'art. 1194 c.c. al rimborso del credito d'imposta, ritenendo legittima l'imputazione dei pagamenti rateali, operata dalla Amministrazione finanziaria, prima al capitale e poi agli interessi.

La censura, secondo la Suprema Corte, era infondata, essendo la giurisprudenza di legittimità già pronunziata nel senso dell'inapplicabilità dell'art. 1194 c.c. attesa, da un lato, la natura derogatoria e speciale della normativa tributaria rispetto a quella civilistica e, dall'altro, il suo contenuto esaustivo, da non consentire il ricorso analogico ai principi previsti dal diritto civile.

La specialità di disciplina sugli interessi in tema di rimborsi di imposte, del resto, evidenziava la Corte, è resa palese dalla minuziosa regolamentazione legislativa al riguardo, tale da rendere incomparabili le due discipline, quella civilistica e quella tributaria, sicché, per tale diversa natura dell'obbligazione tributaria, il potere di accertare e liquidare la somma da restituire al contribuente è attribuito esclusivamente all'Amministrazione finanziaria, senza alcuna possibilità di intervento del creditore.

Con altra censura, i ricorrenti, per quanto di interesse, censuravano poi la sentenza per aver ritenuto nuova la domanda di riconoscimento dell'anatocismo e comunque per non aver accolto la richiesta di riconoscimento degli interessi sugli interessi.
Anche tale motivo di impugnazione, secondo la Corte, era infondato.

I giudici, pur riconoscendo che la CTR aveva errato nel ritenere la domanda nuova, perché non formulata in primo grado (mentre, come dedotto dai contribuenti e come emergeva dall'esame degli atti, questa era stata formulata), affermano comunque che la pretesa era infondata in diritto.

L'art. 1283 c.c., stabilisce infatti che «...gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi».
Ne deriva, che il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se sia accertato che:
  1. alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali sui quali calcolare gli interessi secondari, cioè il debito era esigibile e il debitore era in mora (Cass. n. 10434 del 18/07/2002);
  2. vi sia una specifica domanda giudiziale del creditore (Cass. n. 5271 del 12/04/2002; Cass. n. 12512 del 17/06/2015) o la stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi;
  3. la mora si sia protratta, anteriormente al giudizio, per almeno sei mesi, trattandosi di crediti ultrasemestrali scaduti (Cass. n. 10434 del 18/07/2002 e n. 1964 del 12/02/2002).

La realizzazione della prima condizione comporta quindi che gli interessi anatocistici sono dovuti solo se contemporaneamente sono dovuti anche gli interessi principali.
Nel caso di specie, però, gli interessi moratori erano già stati interamente pagati nel 2003 e tale pagamento era esaustivo di ogni debenza, sicché non era più esigibile alcunché ed era cessata la mora del debitore, mentre la domanda giudiziale degli interessi anatocistici era stata avanzata solamente con il ricorso innanzi alla CTP del 2006.
Era poi irrilevante che la richiesta di anatocismo fosse stata formulata con le istanze di rimborso rivolta all'Agenzia delle Entrate, poiché assume rilievo, per espresso dettato normativo, solo quella effettuata con domanda giudiziale.

Infine, anche la censura in tema di domanda del maggior danno da rivalutazione monetaria, secondo la Corte, era infondata.
La Corte ha infatti confermato (Cass. n. 3331 del 2017, Cass. n. 28332 del 2013), con riferimento alle pretese restitutorie vantate dal contribuente nei confronti dell'Erario, l'operatività del principio secondo il quale, nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria, può liquidarsi il danno da svalutazione monetaria, sempre che il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell'inflazione e salva l'applicazione di un particolare rigore nella valutazione del materiale probatorio.

E la CTR si era attenuta a detto principio, ritenendo che i contribuenti non avessero soddisfatto al loro onere probatorio circa la ricorrenza del maggior danno da svalutazione monetaria.

Osservazioni - Quanto agli interessi anatocistici, questi, ex art. 1283 c.c. decorrono, sempre però in presenza delle condizioni che li rendono liquidabili, dalla domanda giudiziale. La norma, secondo parte della giurisprudenza, non ha eccezioni nel rapporto tributario, dove pure è regola che in caso di diritto al rimborso al contribuente spettino, sempre che ne ricorrano le condizioni, ma questo solo a far data dalla domanda giudiziale di rimborso, in quanto tali interessi non sono accessori del credito principale, come tali conseguenti alla domanda di rimborso.

In tema di rimborsi d'imposta, gli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso di imposta al contribuente non sono peraltro più dovuti a decorrere dal 4 luglio 2006, data di entrata in vigore dell'art. 37, comma 50, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in Legge 4 agosto 2006, n. 248, mentre il principio dettato dall'art. 1283 cod. civ. continua ad applicarsi per il periodo anteriore, attesa la portata innovativa e non interpretativa dell'art. 37, comma 50, citato (cfr Cass. n. 17993 del 2012; Cass. n. 2823 del 2012).

Il contribuente-creditore che invochi il pagamento degli interessi anatocistici ex art. 1283 Cod. civ., è in ogni caso tenuto ad indicare tutti gli elementi necessari alla liquidazione di essi, a cominciare dalla capitalizzazione del primo semestre di interessi maturati sul capitale ed a formulare la richiesta nell'atto introduttivo del giudizio tributario avente ad oggetto il predetto rimborso, non potendosi i citati interessi considerare un accessorio del credito principale conseguente in via automatica all'accoglimento della domanda di rimborso o di quella degli interessi.

Si ricorda infine che la richiesta di rimborso degli interessi (anche anatocistici) è comunque possibile solo entro il termine di prescrizione di 5 anni.

In particolare, come anche in questo caso riconosciuto dalla Suprema Corte (vedi per tutte la Sentenza n. 2945 del 9.2.2007), “l'obbligazione del fisco per gli interessi scaturenti dal tardivo adempimento del credito da rimborso, vantato dal contribuente integra infatti una obbligazione autonoma rispetto a quella riguardante il capitale onde le vicende dell'una sono autonome e distinte rispetto a quelle dell'altra, in particolare per quanto riguarda la prescrizione, così che la prescrizione del credito per i detti interessi resta sganciata dalla prescrizione fissata per il credito di imposta ed è perfino insensibile alle vicende interruttive riguardanti esclusivamente quest'ultima” (Cfr. Cass. 6 agosto 2004, n. 15222 nonché la Cass. n. 66 del 3 gennaio 2005).

Quanto infine alla richiesta del maggior danno da svalutazione monetaria si deve rispettare il principio di diritto in base al quale l'art. 1224 c.c., nel riconoscere il risarcimento ulteriore da svalutazione monetaria, non richiede altro che la dimostrazione del danno subito, non essendo richiesto nell'accertamento di tale danno che si valuti se il creditore ha iscritto a bilancio, quale misura compensativa crediti affermati verso l'erario.

Il debito di valuta, a differenza dell'obbligazione risarcitoria, non è del resto soggetto a rivalutazione monetaria automatica, ma impone al titolare del bene di proporre la domanda di ristoro del maggior danno ai sensi dell'art. 1224 c.c. allegandone le circostanze necessarie e fornendone la prova.

Conclusioni - Quanto agli interessi anatocistici, bisogna anche dare conto del fatto che, secondo parte della giurisprudenza, anche di Cassazione, la loro disciplina sarebbe comunque inapplicabile in materia tributaria, ove prevalgono le disposizioni speciali che regolano compiutamente gli effetti della mora debendi.

Il carattere di specialità della normativa fiscale comporterebbe infatti, in ogni caso, la prevalenza di questa sullo ius commune, in quanto, in base ai normali criteri che presiedono il rapporto tra disposizione speciale e disposizione generale, le norme che espressamente e compiutamente stabiliscono per le obbligazioni d'imposta gli effetti della mora debendi prevalgono sull'articolo 1283 del Codice civile, come sulle altre disposizioni previste dal Codice civile in tema di adempimento delle obbligazioni pecuniarie.

Resta comunque il fatto, come detto, che il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 50, convertito con L. n. 248 del 2006, ha poi espressamente escluso la possibilità di riconoscere interessi anatocistici per il caso di rimborso di tributi (riconoscendo di fatto con norma la suddetta interpretazione).

La norma citata dispone infatti che "gli interessi previsti per il rimborso di tributi non producono in nessun caso interessi ai sensi dell'art. 1283 c.c."
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