13 aprile 2018

Interpello disapplicativo: da provare conseguimento dei proventi minimi

Autore: Giovambattista Palumbo
Per l’accoglimento dell’interpello disapplicativo il contribuente deve provare la sussistenza di oggettive situazioni che abbiano reso impossibile il conseguimento dei proventi minimi presunti, essendo irrilevanti valutazioni meramente soggettive o dipendenti dalla volontà della società. Il ricorso avverso il diniego è inammissibile, non essendo tale tipo di provvedimento citato tra gli atti impugnabili, nell’ambito dell’art. 19 del D.lgs. n. 546/96.

Il caso – La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 575/7/18 del 16.03.2018, ha chiarito quali sono i presupposti di impugnabilità e contestazione del diniego di interpello disapplicativo.

Nel caso di specie il legale rappresentante di una società presentava istanza di disapplicazione delle disposizioni in materia di società non operative ritenendo che sussistessero oggettive situazioni che avevano reso impossibile il conseguimento dei proventi minimi presunti.

Il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate rigettava l’istanza, ritenendo che non poteva configurarsi un'oggettiva situazione che avesse reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi previsti.

Avverso tale provvedimento veniva presentato ricorso, premettendosi che, con contratto stipulato a fine 2008, la società aveva dato in affitto la propria azienda, operante nel settore conciario, ad un’altra azienda, che si era resa disponibile a valutarne il successivo acquisto.

La ricorrente chiedeva dunque che la Commissione accertasse la fondatezza delle ragioni proposte e l'operatività della società.

L'Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio, eccependo preliminarmente la non impugnabilità del provvedimento ed assumendo quindi l'infondatezza del ricorso per carenza di giurisdizione del giudice adito, inammissibilità della domanda di accertamento preventivo, carenza di interesse ad agire e, infine, mancanza di prova in merito alle oggettive situazioni che avevano impedito il conseguimento dei ricavi minimi (in sostanza, la mancata dimostrazione della congruità del canone).

La CTP di Firenze respingeva il ricorso, ritenendo impugnabile il provvedimento e rilevando però, nel merito, la mancanza probatoria delle affermazioni del contribuente, relative alle oggettive situazioni che avevano impedito il raggiungimento dei ricavi minimi, non essendo, in particolare, dato conoscere come il canone fosse stato determinato, anche in considerazione della mancata produzione del contratto d'affitto.

Secondo i giudici mancava quindi la prova della congruità dell’affitto, oltre alla dimostrazione di quale fosse la situazione economico aziendale al momento della stipula del contratto, che aveva, di fatto, impedito, a dire della ricorrente, di concordare un canone più elevato.
Avverso tale sentenza parte soccombente proponeva infine appello, evidenziando, tra le altre, di aver chiaramente dimostrato la coltivazione di un concreto e reale programma imprenditoriale, che, solo per eventi oggettivi sopraggiunti, era stato interrotto nei suoi assetti originari.

La parte appellata si costituiva infine in giudizio rilevando come le motivazioni addotte dalla società in ordine alle situazioni che avevano impedito il raggiungimento dei ricavi minimi fossero comunque meramente soggettive, in quanto dipendenti esclusivamente dalla volontà della medesima società. L’Agenzia insisteva poi, con appello incidentale, anche sulla non autonoma impugnabilità del diniego.

La decisione - L'appello principale, secondo la CTR, non era fondato, mentre era fondato l’appello incidentale proposto dall'Agenzia.
La CTR evidenzia infatti che, da una parte, non risultava depositato il contratto d'affitto del 2008 e, dall’altra, le motivazioni addotte non potevano essere ritenute congruenti, non rappresentando elementi oggettivi, ma valutazioni meramente soggettive e dipendenti dalla volontà della società.

Era del resto, invece, inammissibile, secondo la CTR, il ricorso avverso un atto non impugnabile, come appunto il diniego di interpello disapplicativo, dato che i provvedimenti del Direttore Regionale, che respingono le istanze di disapplicazione delle disposizioni in materia di società non operative, non possono essere considerati provvedimenti definitivi, ma meramente interlocutori, non comportando alcuna conseguenza immediata e diretta sulla sfera giuridica del contribuente e potendo comunque la parte impugnare i successivi accertamenti fiscali.

Il Collegio ritiene dunque di aderire all’orientamento giurisprudenziale che ritiene inderogabile (e insuscettibile di interpretazione estensiva), il disposto dell'art.19 del D.lgs. 546/92 in tema di atti impugnabili, laddove, come rilevato anche con la sentenza della stessa CTR, sez. 4, n. 2331/17 del 27/10/2017 "si deve escludere l'equiparazione dell'anzidetto atto con gli atti impugnabili enunciati dall'art. 19 del D.lgs. n. 546/1992. La risposta resa ad un'istanza di interpello non ha contenuto di carattere impositivo, né dal punto di vista formale né dal punto di vista sostanziale; essa, quindi, non è capace di suscitare l'interesse immediato del destinatario a promuovere un'azione giudiziale ed ha come unico scopo quello di indurre ad un accertamento preventivo che, com'è noto, deve intendersi escluso da nostro processo".

Conclusioni – In realtà, giova evidenziare come la Cassazione, con l’Ordinanza n. 25498 del 26.10.2017, abbia recentemente affermato esattamente il contrario, rilevando che l'elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell'art. 19 del D.lgs. 546/92, non preclude la facoltà di impugnare il diniego di interpello disapplicativo, laddove peraltro, evidenzia la Corte, l'art. 6 del D.lgs. n. 156/15, che ha disposto la non impugnabilità immediata del diniego, dispone solo per l'avvenire.

Evidenzia del resto la Suprema Corte che è possibile un'interpretazione estensiva dell’art. 19 cit., in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448/01.

Ne consegue che, in base alla giurisprudenza di legittimità, il contribuente ha la facoltà, anche se non l'onere, di impugnare il diniego dell’interpello, atteso che lo stesso è comunque un provvedimento con cui l'Amministrazione porta a sua conoscenza, pur senza efficacia vincolante, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario.
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