Il fatto che, a causa delle numerose proroghe di legge del termine di impugnazione, il ricorso introduttivo sia stato proposto oltre il termine consentito non comporta rimessione in termini per errore scusabile.
Il caso – La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 1328 del 19/01/2018, ha chiarito un rilevante aspetto in tema di scusabilità dell’errore e possibilità di rimessione in termini in caso di ritardo nell’impugnazione.
Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia rigettava l'appello proposto dalla società contro la decisione di primo grado che aveva affermato l’inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività.
Il ricorso era stato infatti proposto oltre il termine consentito e, secondo i giudici di merito, era infondata la tesi difensiva, che si basava sul fatto che le successive proroghe di tale termine avevano di fatto determinato una situazione di incertezza tale da giustificare, per errore incolpevole, il mancato rispetto del medesimo.
Nel proporre ricorso per cassazione, la società contribuente deduceva quindi violazione di legge, laddove la Commissione Tributaria Regionale non aveva ritenuto scusabile l'errore in cui era incorsa circa il termine per proporre il ricorso.
La ricorrente affermava infatti che aveva chiesto la restituzione nel termine poiché le successive proroghe avevano determinato una situazione obiettivamente inconoscibile, confusa ed incerta, tale da causarne l'errore incolpevole circa la sua decorrenza.
E la prova della oggettiva complessità della normativa era stata data anche dal fatto che la stessa Agenzia delle Entrate aveva errato nell'indicare la data di perenzione del termine.
La decisione - Secondo i giudici di legittimità il ricorso era infondato. Afferma infatti la Suprema Corte che, come evidenziato in altri suoi precedenti, pur essendo opponibile l'errore scusabile anche nel processo tributario (da ultimo: Sez. 5, n. 5105 del 28/02/2017) quando si tratti di applicare istituti sanzionatori, resta tuttavia onere del contribuente, che afferma di esservi stato indotto, di fornire una rigorosa prova, che, nel caso di specie, era, invece, del tutto assente.
La stessa rassegna, offerta dalla difesa, delle fonti normative che avevano determinato la proroga del termine decadenziale, ne illustrava anzi, secondo la Corte, la chiarezza e la inequivocità.
E peraltro tutte le indicate proroghe avevano consentito al contribuente di disporre di ancor maggior spazio temporale per meglio approntare le sue difese.
E che, infine, i provvedimenti di proroga sarebbero cessati era anche ragionevolmente prevedibile, così da non poter trarre in inganno, o indurre in errore, il contribuente.
La prova della possibilità di rimessione in termini – Come peraltro già affermato anche dalla Cassazione (vedi per tutte le sentenze n 12544 e n. 12561, depositate entrambe il 17 giugno 2015), la parte interessata alla eventuale rimessione in termini, ben potrebbe dare la prova della non imputabilità della decadenza dall'impugnazione anche con fatti ad essa estranei.
L'istituto della rimessione in termini, come conferma anche la sentenza in commento, è infatti senz'altro applicabile anche al rito tributario, operando sia con riferimento alle decadenze relative ai poteri processuali interni al giudizio, sia a quelle correlate alle facoltà esterne e strumentali al processo, quali l'impugnazione dei provvedimenti.
La ricostruzione della non “imputabilità” del ritardo, tuttavia, non può essere soggettiva, ma oggettiva e insuperabile (a tal proposito la Corte ha per esempio deciso che la parte non può essere rimessa in termini quando deduca che la costituzione le sia stata impedita da uno stato di malattia, perché tale stato non può considerarsi una causa di impedimento ad essa non imputabile, essendo, in ogni caso, possibile il rilascio di una procura ad hoc - cfr Cass. 7/2014).
Conclusioni - L’istituto della rimessione in termini, un tempo disciplinato dall’art. 184-bis c.p.c., a seguito della riforma operata dalla L. n.69/09, è oggi regolato dall’art. 153, co.2, c.p.c., che prevede che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il Giudice provvede a norma dell’art. 294, secondo e terzo comma”.
Prima della riforma del 2009 l’orientamento giurisprudenziale prevalente riteneva che la rimessione in termini, per la sua collocazione nel libro II rubricato “Del processo di cognizione” riguardasse solo “…la fase istruttoria del procedimento e non la proposizione delle impugnazioni” (Cass. Civ. n. 2946/08).
Il legislatore con la riforma del 2009 ha poi trasferito la disciplina della rimessione in termini nel libro I rubricato “Disposizioni generali” e secondo la giurisprudenza tale nuova collocazione ha ampliato la portata dell’istituto anche ai gradi del giudizio successivi al primo, oltre che a situazioni diverse dallo svolgimento del processo civile, risultando ora quindi applicabile anche al rito tributario.
E le Sezioni Unite, sullo specifico caso delle impugnazioni e della eventuale riammissione in termini, hanno infine anche stabilito i termini concreti di applicazione, affermando che, in caso di decadenza dal termine per ragioni non imputabili al contribuente, questi deve riattivarsi “con immediatezza” e svolgere con tempestività gli atti necessari “senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”.