La Corte di Cassazione, con l’
ordinanza n. 13375 del 17 maggio 2019, torna ad affrontare la questione della notifica degli atti.
Il fatto
Il contribuente ricorre avverso la sentenza con la quale la CTR della Toscana ha dichiarato inammissibile per tardività l'appello proposto dalla contribuente nei confronti della decisione di prime cure, avente ad oggetto avvisi di accertamento relativi ad IRPEF, IRAP ed IVA per gli anni d'imposta 2004-2005.
Il giudice d'appello, per quanto qui rileva, ha fondato la pronuncia di inammissibilità dell'appello sulla base dei seguenti elementi:
- a) la sentenza di primo grado, contrariamente a quanto prospettato dalla contribuente, è stata regolarmente notificata in data 9/9/2011, a mezzo del servizio postale, mediante “consegna a persona che si è qualificata quale segretario del difensore (C.S.) di D.V.S., e perfezionata con successivo invio della comunicazione di avvenuta notifica a mezzo raccomandata consegnata al destinatario il 12/9/2011”;
- b) l'appello è da considerare tardivo in quanto notificato all'Agenzia delle Entrate e depositato in data 27/11/2011, oltre il termine di 60 giorni dalla notifica previsto dall’art. 38, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Le doglianze di parte
Le doglianze di parte investono il procedimento di notifica nel suo complesso, denunciando l’insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso circa il luogo presso il quale è stata eseguita la notificazione della decisione di primo grado, nonché sulla persona che l'ha ricevuta.
Inoltre, la contribuente lamenta che la CTR abbia violato le disposizioni che disciplinano la notifica a mezzo posta degli atti giudiziari, in particolare, sotto un duplice profilo:
- a) la notifica non sarebbe stata eseguita al domicilio eletto dalla parte, bensì presso uno studio professionale diverso ed indipendente rispetto a quello del difensore officiato;
- b) la notifica sarebbe stata ricevuta da soggetto non legittimato a riceverla, come comprovato dalla documentazione versata dalla contribuente agli atti del giudizio di secondo grado.
Il pensiero della Cassazione
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso proposto, ritenendo, innanzitutto, infondate le doglianze prospettate dalla ricorrente con riferimento al luogo dell'avvenuta notifica, atteso che
“la CTR con puntuale motivazione ha chiarito che la notifica in questione è stata eseguita presso il domicilio eletto dalla parte, e ricevuta da personale addetto alla ricezione, dipendente del fratello del difensore patrocinante la contribuente, aventi entrambi i professionisti, lo studio presso lo stesso indirizzo”.
Parimenti risulta infondato per la Corte il secondo profilo di doglianza attinente l'esito della notificazione e la ricezione della stessa, non avendo pregio quanto dedotto dalla ricorrente,
“in merito alla inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorrente tra il destinatario della notifica ed il soggetto che ne ha curato la ricezione, posto che il Collegio ritiene, sul punto, di dover dare continuità ad un orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass. n. 239/07 -Cass. n. 84/10 - Cass. n. 5220/14) secondo il quale, nel caso, quale la fattispecie che occupa, di consegna a persona qualificatasi (secondo le dichiarazioni rese all'ufficiale giudiziario e dal medesimo riportate nella relata di notificazione) quale dipendente del destinatario o addetto allo studio del medesimo, l'intrinseca veridicità di tali dichiarazioni e la validità della notificazione non possono essere contestate sulla base del solo difetto di un rapporto di lavoro subordinato tra i predetti soggetti, essendo sufficiente che esista una relazione tra consegnatario e destinatario idonea a far presumere che il primo porti a conoscenza del secondo l'atto ricevuto”.
Di conseguenza,
“tali presunzioni non possono essere superate dalla circostanza, provata a posteriori, che la persona che aveva sottoscritto l'avviso di ricevimento lavorava, sia pure nella predetta sede, alle dipendenze esclusive di altro, se non accompagnata dalla prova che il medesimo consegnatario non era addetto nei medesimi locali ad alcun incarico per conto o nell'interesse del destinatario. Nella specie, la comprovata sussistenza, da parte della ricorrente, di un rapporto di lavoro subordinato intercorrente tra il soggetto che ha ricevuto la notifica ed altro soggetto, diverso dal destinatario, avente lo studio nello stesso indirizzo del recapito della notifica, non possiede carattere conducente, atteso che la ricorrente non ha, del pari, offerto elementi di prova tali da escludere che il consegnatario fosse incaricato dal destinatario di ricevere la posta indirizzata a quest'ultimo”.
Brevi note
La sentenza che si annota appare particolarmente interessante e sostanzialmente conforme ad un recente pronunciamento, la sentenza n. 7638 del 28 marzo 2018, dove l’atto era stato consegnato ad una persona che si era qualificata al messo notificatore come
“collaboratrice ed autorizzata al ritiro”, apponendo la propria sottoscrizione per ricevuta, e alla sentenza n. 27587 del 30 ottobre 2018, dove l’atto era stato consegnato ad una tizia, qualificatasi come coniuge, mentre quest'ultimo era sposato con un'altra persona.