La corrispondenza è privata. A sancirlo è la Costituzione nell’articolo 15, così come la CEDU, che “senza incertezze” ha ricondotto sotto l’ala di protezione dell’articolo 8 i messaggi di posta elettronica, gli SMS e la messaggistica istantanea tramite app di dispositivi mobili.
I giudici di Piazza Cavour, con la sentenza n. 5334/2025, lo hanno ribadito accogliendo il ricorso di una dipendente di una nota multinazionale del lusso, licenziata in tronco per aver postato nel gruppo WhatsApp del personale il video di una cliente corpulenta con annesso commento ironico.
La Corte d’Appello di Venezia aveva confermato il licenziamento, ritenendo il comportamento della dipendente “riprovevole” e “denigratorio”, con il rischio che tale condotta potesse creare un danno reputazionale all’azienda qualora il commento fosse trapelato dal gruppo, composto da ben 15 partecipanti.
Tuttavia, la Cassazione ha sottolineato che la condotta contestata non riguardava la realizzazione del video, ma la sua condivisione nella chat di gruppo. Pur essendo moralmente deprecabile, tale comportamento rientra nella tutela garantita dall’articolo 15 della Costituzione, in quanto il messaggio è stato inviato a persone determinate, all’interno di una chat ristretta di dipendenti. Inoltre, le caratteristiche tecniche di WhatsApp riflettono la volontà della mittente di escludere terzi dalla conoscenza del messaggio, soddisfacendo il requisito di segretezza della corrispondenza tutelato dalla Costituzione.
A maggior ragione, il contenuto del messaggio è divenuto pubblico non per volontà della dipendente, ma a causa della diffusione da parte di uno dei partecipanti alla chat. L’utilizzo di un gruppo WhatsApp sottiene infatti un patto di riservatezza implicito tra i membri, senza un chiaro intento divulgativo.
La Sentenza quindi ribadisce l’importanza della Privacy in tutte le sue forme come diritto imprescindibile anche a discapito di comportamenti moralmente deprecabili.
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