3 settembre 2018

Le trading estere a rischio CFC

Autore: Silvia Bettiol
All’interno del gruppo si rinviene di tanto in tanto una società trading, ossia una società che si occupa prevalentemente o esclusivamente della distribuzione delle merci sui mercati esteri e che spesso cura le diverse fasi del processo di commercializzazione svolgendo funzioni di marketing, logistica, assistenza post-vendita ecc.
Generalmente, le società in esame acquistano i beni dalla casa madre e li rivendono nel mercato locale e all’estero.
Le società dedite a tale funzione vengono spesso costituite nel paese estero dove il business sta crescendo. L’utilizzo di una trading estera deve essere attentamente vagliato alla luce della estensione della disciplina sulle “controlled foreign companies” anche alle strutture collocate in Paesi white list.

Si ricorda che la disciplina sulle CFC prevede, in sintesi, che il reddito realizzato dalla società controllata residente in un paradiso fiscale venga imputato per trasparenza alla controllante italiana.
Il legislatore italiano ha voluto evitare che le società residenti accantonassero materia imponibile in paesi a bassa fiscalità con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta.
A partire dal 2010, infatti, è in vigore la c.d. disciplina “CFC white list”.
In sostanza, la tassazione per trasparenza opera anche nei confronti di società residenti in paesi a fiscalità ordinaria, anche appartenenti alla UE, se ricorrono determinate condizioni.
L’art. 167 comma 8-bis del Tuir stabilisce che la disciplina CFC si applica anche in relazione alle controllate insediate in paesi a fiscalità ordinaria se sono congiuntamente verificate le seguenti condizioni:
  • a) la partecipata estera è assoggettata ad una tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbe soggetta ove residente in Italia;
  • b) i proventi della partecipata estera derivano per più della metà da:
    • gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie;
    • cessione o concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica;
    • prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari (c.d. servizi infragruppo).

La tassazione per trasparenza opera, è bene ribadirlo, solamente se entrambe le condizioni risultano soddisfatte.
In ogni caso, il contribuente può presentare interpello all’Amministrazione Finanziaria per chiedere la disapplicazione della disciplina dimostrando che la struttura estera non è di puro artificio (art. 167 co. 8-ter del Tuir).
L’attività svolta dalla trading essendo un’attività di acquisto e vendita di merci, non dovrebbe generare “passive income” che derivano, invece, dalla gestione di partecipazioni, marchi e dall’effettuazione di servizi infragruppo.
Di conseguenza, non sussistendo congiuntamente le due condizioni citate, la trading estera non dovrebbe ricadere nella disciplina in oggetto.
Purtroppo, l’Agenzia delle Entrate nella C.M. n.28/E/2011 punto 3.1. ha affermato che anche le società trading possono subire la tassazione per trasparenza in Italia.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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