27 ottobre 2018

Ne bis in idem e doppio binario tributario: esiste ancora un “conflitto”?

Autore: Giuseppe Mirante
Il sistema sanzionatorio tributario era entrato in uno stato di fibrillazione a causa della scia di pronunce della Corte Edu, inaugurata dalla decisione Grande Stevens c. Italia1 e proseguita da quelle che hanno interessato, proprio in materia fiscale, i Paesi scandinavi (Lucki D c. Svezia del 27.11.2014). Il ne bis in idem convenzionale, riflesso nelle richiamate pronunce si fondava sui seguenti snodi argomentativi: a) qualificazione penale della sanzione amministrativa secondo l’approccio “sostanziale” e correlativa assimilazione del procedimento amministrativo a quello penale con conseguente attivazione delle garanzie penalistiche contemplate dalla Cedu; b) adozione dell’idem factum ai fini del giudizio circa la medesimezza del fatto2.

Ad oggi il cielo sopra Strasburgo è cambiato, difatti la decisione della Grande Chambre sul caso A e B c. Norvegia del 15.11.2016 ha diffuso notevoli dubbi in merito alla diatriba del ne bis in idem convenzionale. In dettaglio, la Camera di Strasburgo ha concluso che non viola il diritto fondamentale al ne bis in idem la celebrazione di un processo penale nei confronti dello stesso soggetto già sanzionato in via definitiva per il medesimo fatto dall’amministrazione tributaria con una sopratassa riconducibile alla matiére pénale, quando tra i due procedimenti esista una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta. Di conseguenza, due procedimenti, al ricorrere di determinate condizioni, devono essere considerati, ai fini della valutazione del rispetto del principio del ne bis in idem, come aspetti di un unico procedimento, così venendo meno alla radice qualsiasi problematica3.

La Corte ha stabilito che per valutare se i due procedimenti risultano connessi occorrerà verificare:
a) se i due procedimenti abbiano scopi diversi e assumono a oggetto aspetti diversi della stessa condotta antisociale; b) se la duplicità dei procedimenti sia un effetto prevedibile della condotta; c) se i due procedimenti siano condotti in modo da evitare per quanto possibile ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione delle prove; d) se la sanzione imposta all’esito del procedimento che si conclude per primo sia presa in considerazione nell’altro procedimento, in modo tale da assicurare la proporzionalità della pena. Inoltre, circa il collegamento di natura cronologica la Corte ha precisato come tale requisito non implichi che essi debbano svolgersi necessariamente in modo parallelo. Il test “convenzionale” al ne bis in idem concepito nella decisione A e B c.Norvegia è stato affrontato nell’immediatezza da parte della Corte Edu nella pronuncia Johannesson e a. c. Islanda4 suscitando notevoli dubbi in merito, in quanto quest’ultima utilizzando il succitato test ha ravvisato violazione del principio, sulla base della formale e sostanziale autonomia dei due procedimenti che ha fatto leva sui profili temporali e sull’indipendenza che ha contraddistinto le corrispondenti raccolta e valutazione delle prove. L’itinerario argomentativo tracciato dalla Corte in questa decisione sembrerebbe suggerire che affinché il test dia esito positivo devono essere vagliati tutti gli indici; ovvero come, ai fini della ricorrenza del difetto di connessione, sia sufficiente che anche uno solo di questi non venga rilevato.

La sentenza A e B c. Norvegia ha mutato profondamente la prospettiva del ne bis in idem convenzionale, diritto fondamentale che ad oggi non ha raggiunto una idonea tutela nel nostro ordinamento e conferma ne sono i rinvii pregiudiziali intervenuti prima della pubblicazione succitata sentenza, da parte degli organi giurisdizionali italiani di fronte la Corte di Giustizia Europea.

La Corte del Lussemburgo, nel primo dei tre rinvii pregiudiziali (causa Menci C-524/15) ha affermato come il cumulo di sanzioni sostanzialmente penali relative allo stesso fatto storico non costituisce tout court una violazione del bis in idem europeo, esso può costituire, infatti, una semplice limitazione di tale diritto, purché rispetti i requisiti dettati, in materia, dall’art. 52 CDFUE a mente del quale “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla Legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti di libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. Anche la Corte di Giustizia, come la Corte Edu, si affida ad una serie di indici sintomatici e soprattutto al prudente apprezzamento del giudice nazionale nella valutazione dei casi concreti a lui sottoposti.

Quest’ultima chiamata in causa, nonostante il sollecito da parte dell’Avvocato Generale ad innalzare il livello di tutela del diritto al ne bis in idem dopo il “ripensamento” di A. e B della Corte Edu in modo tale da indirizzare i giudici nazionali verso una soluzione uniforme dei problemi derivanti dal doppio binario sanzionatorio, non si è spinta molto più in là nella sua opera di interpretazione dell’art. 50 CDFUE. Unica nota certa è che la stessa Corte non ha scelto la strada che avrebbe eliminato ogni incertezza applicativa relativa al ne bis in idem, e cioè all’automatico divieto del secondo giudizio teso ad infliggere una sanzione di natura sostanzialmente penale in relazione al medesimo fatto storico, quando il primo sia giunto ad una pronuncia definitiva di condanna o assoluzione. Fa riflettere la divergenza dei criteri utilizzati dalle due Corti Europee che così facendo continueranno ad incrementare i rinvii pregiudiziali tesi ad identificare la giusta interpretazione ed applicazione del divieto del bis in idem.

Definita la matrice europea vediamo ora come la giurisprudenza nazionale si è interfacciata con le nuove indicazioni in materia di ne bis in idem. La Suprema Corte di Cassazione5 che negli anni ha resistito alle richieste di estensione degli effetti della giurisprudenza convenzionale all’area delle violazioni fiscali negando natura penale alle sanzioni amministrative, recentemente si è imbattuta anche nel test della “sufficiently close connection in substance and time”.

I Giudici di piazza Cavour tenendo conto in parte della prospettiva metodologica implicitamente avallata dalla Corte Edu nella decisione Johannesson c. Islanda, hanno affermato una loro prospettiva, secondo la quale, sarebbe sufficiente il riscontro anche di un solo indice di correlazione, nel caso in esame, quello cronologico, perché il test abbia esito positivo senza neanche vagliare gli ulteriori indici suggeriti dalla matrice convenzionale. Tale approccio restrittivo utilizzato dalla Corte di Cassazione non può essere condiviso in quanto ai fini del riscontro di una connessione procedimentale sufficientemente stretta sarebbe necessario una più ampia ed articolata valutazione visto che la materia del contendere è un diritto fondamentale.

Applicando la nuova interpretazione convenzionale del ne bis in idem, dove si è assegnato alle sanzioni amministrative dell’ordinamento norvegese una finalità anche compensativa di accertamento e a quelle penali una finalità punitiva, va considerato come esse potrebbero valere solo nei casi in cui gli illeciti sono puniti con sanzione del 30% (omesso versamento) e non anche per gli illeciti in cui la sanzione può arrivare al 90-180 % (infedele dichiarazione) o addirittura al 120-240 % (omessa dichiarazione).
Nel nostro ordinamento tributario l’autonomia del procedimento d’indagine penale rispetto al procedimento e processo tributario consente non solo che il contribuente possa riportare, almeno teoricamente, una condanna penale per fatti di evasione prima che sia stato concluso l’altro procedimento, ma anche che la sanzione amministrativa possa essere irrogata e riscossa in piena legittimità, prima della conclusione del processo penale6.


Il principio di specialità non assorbe quello del ne bis in idem e neppure può considerarsi un suo duplicato. Il problema nasce perché l’art. 19 opera solo ex post, cioè una volta chiuso il processo penale. Infatti, per il principio di specialità la sopravvenuta definitività del provvedimento sanzionatorio amministrativo oppure la sentenza passata in giudicato del Giudice tributario non osta né alla celebrazione del processo penale, né all’emanazione in esso di una sentenza di condanna.
Infine sotto l’aspetto dell’autonomia dei giudicati, in cui il giudicato dell’uno non fa stato nell’altro, è in dubbio la sostanziale unicità procedimentale sostenuta dalla Corte Edu.

Il principio del ne bis in idem, originariamente confinato nei ristretti limiti di una dimensione territoriale nazionale, è oggi divenuto un diritto fondamentale del cittadino europeo, dispiegando i suoi effetti nel territorio di tutti gli Stati membri dell’UE, atteso che oltre dalla Cedu è previsto, con natura di fonte primaria, dalla Carta dei diritti fondamentali, all’art.50. Ci si attende, come anche richiesto dalla stessa Corte Costituzionale in una recente pronuncia di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., un opportuno intervento “razionalizzatore” della materia del doppio binario sanzionatorio da parte del legislatore per porre rimedio alle perduranti frizioni che dovessero determinarsi fra l’ordinamento nazionale e la Cedu, quest’ultima che proprio in materia di ne bis in idem non ha brillato per chiarezza.
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1 Con la sentenza del 4 marzo 20141, infatti, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che il principio del “ne bis in idem” consacrato nell’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione, impedisce l’applicazione di una sanzione penale, e ancor prima, l’avvio di un procedimento di accertamento e di una sanzione afflittiva assai pesante, ancorché qualificata come amministrativa dall’ordinamento nazionale, a carico dello stesso soggetto e per la stessa condotta materiale.
2 La Corte, ha precisato che, ai fini della questione, non si doveva tenere in considerazione l’identicità o meno degli elementi costitutivi dei reati, come sostenuto dalla Corte di Cassazione e previsti dagli art. 187-ter e 185, comma 1 del
d. lgs. N. 58/1998, ma quello di stabilire se i fatti incriminanti ai ricorrenti davanti al Giudice amministrativo e penale facevano riferimento allo “stesso comportamento”.
3 TRIPODI A.F., Ne bis in idem e sanzioni tributarie: la Corte di Cassazione sfronda il test della sufficiently close connection in substance and time, in Diritto penale contemporaneo, 2018.
4 In tale occasione sotto esame era il doppio binario sanzionatorio Islandese in materia di violazioni tributarie.
5 Cass, SS.UU., 28 marzo 2013, n. 37425, in Corr. Trib., 2013, p. 3487, con nota TRAVERSI, M., Interpretazione rigorosa delle Sezioni Unite sull’omesso versamento dell’Iva e delle ritenute.
6 Per esempio, in pendenza di un procedimento penale o il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, non ostano alla riscossione delle sanzioni amministrative se le parti del procedimento tributario convengono di chiudere la lite con il procedimento di accertamento con adesione o se davanti al giudice si determinano alla cessazione della materia del contendere mediante conciliazione.
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