30 maggio 2018

Nessuna esclusiva dei commercialisti per la contabilità e la consulenza fiscale

Autore: E.A.
La Corte di Cassazione, con un’ordinanza dello scorso 28 maggio (n.13342/2018), ha stabilito un principio che di certo non mette d’accordo le categorie di professionisti coinvolte: la pronuncia in parola, difatti, ha stabilito che “l’assistenza fiscale per la dichiarazione dei redditi o la tenuta dei libri contabili non sono attività ad appannaggio esclusivo dei dottori commercialisti, dei ragionieri o dei periti commerciali. Si tratta infatti di attività che possono essere svolte da qualsiasi persona e non solo dai quanti sono iscritti all’albo professionale o abilitati.”

La Corte ha così disposto accogliendo il ricorso del legale rappresentante di uno studio professionale che si era rivolto al tribunale per ottenere la condanna di un proprio cliente al pagamento dei compensi maturati per l’attività di consulenza fiscale e tributaria e per l’elaborazione di dati contabili prestata nei suoi confronti. Per contro, il cliente contestava sia il regolare conferimento dell’incarico, sia l’importo richiesto, sia la validità del contratto, adducendo a tal ultimo riguardo che esso fosse nullo per mancanza dei requisiti professionali del consulente.
Con l’indicata pronuncia la Cassazione ha quindi ritenuto che l’iscrizione all’albo di dottori e ragionieri commercialisti e degli esperti contabili – requisito di cui difettava il legale rappresentante dello studio ricorrente – non sia un presupposto necessario per prestare attività di consulenza fiscale, che può quindi essere svolta da chiunque.

La suddetta decisione si presta ad una duplice considerazione: da un lato, infatti, essa desta sicuramente la contrarietà dei commercialisti, i quali finiscono così per vedersi affiancati, in alcune attività, da una considerevole schiera di concorrenti. Le attività che con la citata ordinanza vengono considerate “libere” sono, difatti, abbastanza numerose: tenuta della contabilità, redazione di modelli Iva, dichiarazione dei redditi, richiesta di certificati o presentazione di domande presso la Camera di commercio, invio della dichiarazione dei redditi, consulenza in materia fiscale e commerciale.
A riguardo la Cassazione ha evidenziato che, in base all’art. 2231 c.c., ove l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione. Bisogna tuttavia, a monte, verificare se la prestazione svolta rientri o meno tra quelle che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale e che pertanto possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione. Se tale condizione non sussiste, per tutte le attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza vige il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione. Ciò anche in ossequio al principio comunitario della libertà della prestazione di servizi, rispetto al quale l’imposizione del requisito dell’iscrizione ad albi e Ordini costituisce l’eccezione da interpretarsi sempre in senso restrittivo.
Non si tratta peraltro di una novità assoluta, poiché la stessa Cassazione con altra sentenza (n. 12840/2006) si era già pronunciata in senso analogo riguardo alla consulenza legale, stabilendo che essa non è coperta da esclusive, ma può essere fornita da chiunque e lo stesso vale per tutte quelle attività (redazione di contratti, diffide, contestazioni e messa in mora, risposta a lettere di diffida, contestazioni e messa in mora, querele e denunce, redazione di accordi e transazioni) ove la presenza dell’avvocato non sia richiesta obbligatoriamente dalla legge.
Ed anche con riguardo ai commercialisti, con la sentenza n. 14085/2010, la Cassazione, conformandosi a quanto già prima chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 418/1996, aveva già dichiarato che nelle materie commerciali, economiche, finanziarie e di ragioneria, le prestazioni di assistenza o consulenza aziendale non sono riservate per legge in via esclusiva ai dottori commercialisti, ai ragionieri e ai periti commerciali.

D’altro canto, però, la pronuncia in commento contribuisce senz’altro a sgomberare il campo da qualche dubbio interpretativo – a volte forzatamente calcato – relativo alla individuazione della fattispecie di reato di esercizio abusivo della professione.
Esso difatti, si configura certamente a carico di chi, professionalmente, fa attività legate alla tenuta delle scritture e alle dichiarazioni dei redditi, svolgendo il compito con modalità che, per continuatività, onerosità e organizzazione, possono creare, senza chiare diverse indicazioni, l’apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
Viceversa, laddove le prestazioni offerte si sostanzino in attività libere secondo il criterio esposto dalla detta ordinanza, sostenere la sussistenza di un’ipotesi di esercizio abusivo della professione può risultare pretestuoso.

In relazione a tale aspetto la pronuncia in esame ha perciò riscosso il plauso dell’Associazione Nazionale Tributaristi Lapet che, in un comunicato stampa divulgato ieri, ha evidenziato come la pronuncia della Cassazione abbia “confermato i principi che da sempre l’Associazione nazionale tributaristi Lapet presieduta da Roberto Falcone sostiene: netta separazione tra attività libere e riservate e piena legittimità dell’esercizio professionale dei professionisti di cui alla Legge 4/2013”.
“La cosa più ignominiosa” – si legge ancora nella nota, riportandosi il commento del Presidente Falcone – “è che cattivi pagatori cerchino di evitare il pagamento di compensi professionali dovuti adducendo il pretesto di esercizio abusivo della professione, completamente inesistente, come confermato da giurisprudenza consolidata. Da tempo ormai i riconoscimenti e le posizioni istituzionali assunte dalla nostra Associazione hanno messo al riparo i nostri iscritti dalle ormai rare denunce riguardanti il presunto esercizio abusivo della professione. Basti pensare che in oltre trenta anni di attività Lapet mai nessun tributarista iscritto all’associazione è stato condannato per esercizio abusivo della professione”.
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