30 maggio 2019

Operazioni inesistenti. Mancato pagamento del terzo

Autore: Andrea Magagnoli
Per la configurabilità del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti non è necessario il mancato pagamento delle imposte da parte del terzo nei cui confronti è stata emessa la documentazione contabile.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17058/2019, individua il principio di diritto per il quale la configurabilità del reato previsto dall'art. 8 d.lgs. 10 marzo 2000 (emissione di documentazione contabile per operazioni inesistenti) è possibile anche nel caso in cui dalla condotta illecita non sia derivata alcuna elusione alla normativa fiscale.

La Corte di appello di Firenze condannava l'imputato per il titolo di reato poc'anzi citato, stante la ripetuta emissione di documentazione fiscale riferentesi ad operazioni inesistenti. Si trattava, in particolare, di operazioni aventi asseritamente ad oggetto autoveicoli, dei quali contrariamente al vero sarebbe stata compiuta la riparazione.

L'imputato, ritenendosi leso nei propri diritti, ricorreva per Cassazione con apposito atto del difensore, il quale eccepiva il difetto di applicabilità della figura di reato prevista dal d.lgs. n. 74/2000. Osservava in particolare il legale come il suo assistito non aveva mai realizzato la condotta contestatagli, e che ad ogni modo non era emersa nel corso del procedimento alcuna prova circa gli estremi della stessa; non solo: a favore dell'assoluzione doveva essere altresì considerata la mancanza di un altro elemento costitutivo del reato difettando, nel caso di specie, il mancato pagamento delle imposte da parte del terzo.

Il procedimento, dopo avere fatto il proprio corso, veniva deciso da parte degli Ermellini con la sentenza qui in commento.
Il ricorso viene ritenuto infondato, sulla base di un esame analitico dei motivi che lo sorreggono.

Per quel che riguarda l'elemento oggettivo della condotta, che nella tesi difensiva non aveva mai avuto alcun compimento e difettava di ogni prova, deve al contrario essere osservato come esso possa ritenersi provato.

Argomentano, sul punto, i giudici della Corte Suprema, come la condotta ascritta al ricorrente risulta ampiamente dimostrata ed evidente sulla base dell'esame delle dichiarazioni rese nel corso del procedimento, da parte dei presunti fruitori delle prestazioni lavorative del reo, dalle quali emergeva in maniera indiscutibile come a loro favore non fosse mai stata sviluppata alcuna attività che avrebbe reso necessaria l'emissione della documentazione fiscale.

I giudici della Corte Suprema di Cassazione passano a considerare anche l'ulteriore aspetto delle conseguenze della condotta illecita.
Sul punto, osservano gli Ermellini che, se è pur vero che la normativa richiede un dolo specifico ovvero una ben precisa volontà da parte del reo di agire con il preciso fine di consentire ad un terzo l'evasione delle imposte, in nessuna parte della disposizione relativa al reato di cui all'art. 8 d.lgs. 10 marzo 2000 è possibile rilevare la necessità di ben precise conseguenze sul piano del pagamento delle imposte, ben potendosi configurare il reato in parola anche nel caso in cui il terzo che ha fruito della documentazione fiscale non rispondente al vero, abbia effettuato i pagamenti dovuti.

La funzione della norma penale, osservano gli Ermellini, è quella di tutelare l'integrità del prelievo fiscale pubblico, che potrebbe essere leso anche nel solo caso di emissione di documentazione fiscale non rispondente al vero idonea a consentire indebiti risparmi d'imposta ed elusioni della normativa fiscale.
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