30 ottobre 2018

Presupposti di non commercialità per i circoli culturali

Autore: Giovambattista Palumbo
Solo le prestazioni ed i servizi che realizzano le finalità istituzionali, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vanno considerate come compiute nell'esercizio di attività commerciale e, quindi, come non imponibili. L'attività di bar con somministrazione di bevande verso pagamento di corrispettivi specifici, svolta da un circolo culturale, anche se effettuata ai propri associati, non rientra comunque, in alcun modo, tra le finalità istituzionali del circolo e deve ritenersi attività di natura commerciale ai fini del trattamento tributario.

Il caso – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25650 del 15/10/2018, ha chiarito rilevanti aspetti in tema di presupposti di non commercialità dell’attività di un circolo culturale.
Nel caso di specie, il contribuente, in proprio e quale presidente di un’associazione culturale, ricorreva per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che ne aveva rigettato l'appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Viterbo, la quale aveva, a sua volta, parzialmente accolto il ricorso proposto avverso gli avvisi di accertamento, con i quali era stato contestato che l'associazione, poiché svolgeva attività di bar-caffè non rientrante nei fini istituzionali, doveva essere considerata, ai fini fiscali, ente che esercitava attività di natura commerciale.

Il giudice di secondo grado, premesso, in punto di fatto, che la Commissione Tributaria Provinciale aveva parzialmente accolto i ricorsi unicamente sotto il profilo della applicabilità del cumulo giuridico delle sanzioni tra i diversi anni di imposta, ritenendo, quindi, per il resto, la legittimità degli avvisi, aveva poi rigettato l'appello.
Nell’impugnare la sentenza davanti alla Corte di Cassazione, per quanto qui di interesse, il ricorrente la censurava per violazione dell'art. 5 del D.lgs n. 460/97, per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto che l'attività svolta dall'associazione avesse natura commerciale, laddove invece l’associazione stessa aveva conformato il proprio statuto alle previsioni di cui all'art. 111 TUIR e al principio di democraticità, presupposti essenziali per la qualificazione della natura non commerciale dell'ente.

Il contribuente evidenziava inoltre come, al momento dell'accesso, erano stati rinvenuti, in realtà, solo quattro "non soci", che l'attività di somministrazione di alimenti e bevande era strettamente connessa con gli scopi, per lo più ricreativi, dichiarati nello statuto e che l'associazione era affiliata ad ente ricompreso fra quelli aventi finalità assistenziali, riconosciute dal Ministero dell'Interno.

La decisione – La censura avanzata in sede di ricorso per cassazione, secondo la Suprema Corte, era infondata.
I giudici di legittimità evidenziano infatti che la giurisprudenza della Cassazione ha già più volte affermato il principio che, in via generale, sono da considerarsi effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da associazioni che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale e che, per le altre associazioni, sono, invece, considerate effettuate nell'esercizio di impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati, ove rese verso il pagamento di un corrispettivo, o di uno specifico contributo supplementare.

In via eccezionale, invece, evidenzia la Corte, è esclusa la qualificazione di prestazione fatta nell'esercizio di attività commerciale, delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi a condizione che siano "effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive" (Cass. civ. Sez. V, 30 novembre 2012, n. 21406).
Essendo questo il quadro di riferimento, solo le prestazioni ed i servizi che realizzano le finalità istituzionali senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vanno considerate come compiute nell'esercizio di attività commerciale e, quindi, come non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti deve ritenersi rientri nel regime impositivo.

Conclusioni - In conclusione, sottolinea la Corte, l'attività di bar con somministrazione di bevande verso pagamento di corrispettivi specifici (come nel caso di specie), svolta da un circolo culturale, anche se effettuata ai propri associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali del circolo e deve, dunque, ritenersi ai fini del trattamento tributario, attività di natura commerciale (cfr., Cass. civ., sez. V., 30 giugno 2016, n.15191).

Ai fini della possibilità di usufruire dei vantaggi fiscali, per i circoli culturali è quindi dirimente la qualificazione dell'attività di bar ristoro come attività commerciale.

La possibilità di usufruire dell'agevolazione di cui all'art. 4 del DPR n. 633 del 1972 e 111 del TUIR (nel testo vigente "ratione temporis", poi trasfuso nell'art. 148), deriva, infatti, dal concorso di due circostanze:

a) dall'esclusione della qualificazione dell'attività svolta come attività commerciale, in ragione dell'affinità e strumentalità della stessa con i fini istituzionali;
b) dallo svolgimento dell'attività unicamente in favore dei soci.


E, nel caso di specie, quindi, la CTR aveva correttamente considerato che l'inclusione (o l'esclusione) dei terzi tra i soggetti potenzialmente destinatari di attività di Bar non incide comunque sulla necessità che, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali, siano anche accertate la natura non commerciale dell'attività svolta, e il perseguimento di finalità istituzionali, atteso che l'attività di bar con somministrazione di bevande (anche se solo ai soci) non rientra tra le finalità istituzionali del circolo e, quindi, ha natura di attività commerciale.
E questo anche considerato che l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'agevolazione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 c.c.

Del resto, se è vero che, ai fini della qualificazione di un Ente come commerciale o non commerciale, occorre anzitutto avere riguardo alle previsioni contenute nello Statuto, nell'atto costitutivo o nella legge, è però anche vero che, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'oggetto principale dell'Ente deve essere determinato in base all'attività effettivamente esercitata.
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