3 maggio 2018

Processo tributario: il valore “probatorio” della sentenza penale

Autore: Giuseppe Avanzato
Sebbene nel processo tributario la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato fiscale emessa con la formula "perché il fatto non sussiste" non spieghi automaticamente efficacia di giudicato, essa deve, tuttavia, essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal Giudice tributario, il quale, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare.

Questo il rilevante principio statuito dalla suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 7033 del 21/03/2018.

In particolare, nel caso sottoposto all’esame dei giudici di legittimità, si chiedeva di riformare la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania con la quale era stata, in sostanza, confermata la decisione di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di accertamento a fini IRPEG, IRAP e IVA per l'anno d’imposta 2002 che aveva comportato anche fatti di rilevanza penale.

Nel ricorso per Cassazione la ricorrente aveva dedotto, tra gli altri, la violazione da parte della Commissione Regionale dell'art. 112 c.p.c., in quanto quest’ultima, a parere della contribuente, avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con il quale era stato eccepito l'intervenuto giudicato penale sui fatti oggetto della controversia in esame.

Nelle more del giudizio tributario era, infatti, intervenuta la sentenza da parte del Tribunale Penale di Nola, che aveva assolto, per insussistenza del fatto, il legale rappresentante della società.

Ebbene, a parere degli ermellini la CTR avrebbe dovuto prendere in esame la sentenza penale quale fonte di prova, sebbene nel processo ad essa sottoposto essa non potesse dispiegare in re ipsa alcun effetto e ciò quandanche i fatti accertati in sede penale fossero gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria aveva promosso l'accertamento nei confronti del contribuente.

Come noto, infatti, nel nostro ordinamento non esiste alcun rapporto di interrelazione fra il processo penale e quello tributario.
Ciascuno di essi è autonomo in ragione delle diverse regole che conducono all’accertamento dell’illecito tributario rispetto a quello penale vige cioè il c.d. doppio binario.

Da tale principio dovrebbe discendere, in linea di principio, la reciproca irrilevanza dei relativi esiti processuali nonché degli elementi fattuali e delle prove acquisite in ciascun procedimento.

Ne consegue che, sia l’attività di accertamento degli Uffici Finanziari, sia i processi avanti alle Commissioni Tributarie si svilupperanno in parallelo e indipendentemente dal processo penale vertente sui medesimi fatti.

Tuttavia, ormai da lungo tempo la giurisprudenza di legittimità afferma che le sentenze irrevocabili di condanna o di assoluzione pronunciate all’esito del dibattimento penale possano “essere prese in considerazione dal Giudice tributario come possibili fonti di prova”. (ex multis cfr. Cass. n. 10578/2015 o Cass. n. 28564/2008).

E ciò in considerazione del fatto che il Giudice tributario non può sottrarsi dall’apprezzare la sentenza penale onde motivare adeguatamente la propria pronuncia.

In altri termini la sentenza penale irrevocabile non ha valore probatorio in quanto tale, ossia come giudizio espresso dal Giudice penale sui fatti rilevanti anche nel processo tributario, ma ha valore probatorio come documento che attesta l’esistenza di prove raccolte nel giudizio penale, che stante non difforme base istruttoria e l’identità dei fatti costitutivi degli illeciti penali e fiscali determina un’inevitabile attenzione del Giudice tributario verso l’esito e le acquisizioni probatorie del processo “parallelo”. Le prove e le sentenze penali risultano cioè funzionali ad appurare nei termini migliori i fatti controversi nel giudizio tributario.
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