Nel caso di applicazione della pena su richiesta della parte, qualora la normativa lo consenta, può essere eseguita l'esecuzione del provvedimento di confisca nella forma per equivalente. Tuttavia, nel caso in cui non divenga possibile l'individuazione del profitto del reato, la misura non potrà avere corso non potendosene identificare con certezza l’oggetto.
La Corte di cassazione, con
sentenza n.15847/2019 depositata il giorno 8/4/2019 pone il principio di diritto per il quale il profitto del reato deve permanere sino all'emissione e all'esecuzione del provvedimento di confisca così da potere consentire un'individuazione certa dei limiti della misura in corso di esecuzione.
Il procedimento traeva origine dall'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 444 c.p.p. a seguito del quale era stata applicata una sanzione detentiva a carico dell'imputata alla quale, ai sensi della normativa vigente, faceva seguito l'esecuzione del provvedimento di confisca, che nel caso di specie aveva per oggetto somme di denaro giacenti su di un conto corrente intestato all'imputata.
Avverso tale provvedimento ricorreva il difensore del ricorrente assumendo l'assoluta illegittimità del provvedimento di confisca.
Rappresentava, in particolare, come nei casi di applicazione della pena fosse la stessa normativa a inibirne l'applicazione.
Assumeva il ricorrente, in particolare nella propria tesi difensiva, come dall'art 444 comma 1-ter del c.p.p. discendesse una sorta di abrogazione tacita della confisca.
Infatti, ove si ponga la attenzione sul contenuto della normativa oggi vigente, si nota come ai sensi dell’art 444 comma 1 – ter c.p.p. sia consentito dare corso all'applicazione della pena su richiesta di parte, nel solo caso in cui l’imputato, che ne abbia fatto richiesta, abbia interamente risarcito il profitto del reato, pertanto imporre anche una successiva confisca sui beni del reo significherebbe, in realtà, imporre una duplice ed iniqua restituzione del prezzo del reato.
Il legale concludeva la propria difesa chiedendo la restituzione delle somme oggetto del sequestro.
Il procedimento, dopo avere compiuto il proprio corso, veniva deciso da parte degli ermellini con la sentenza qui in commento.
Il ricorso veniva rigettato da parte dei giudici della Corte suprema di cassazione sulla base di una ricostruzione della normativa vigente e delle risultanze processuali dei giudizi di merito.
Circa l'adempimento dell'obbligo risarcitorio da parte del reo, osservano gli ermellini come negli atti non vi era alcuna prova circa eventuali restituzioni da parte dell'imputata alla quale era stata applicata la pena, pertanto esisteva ancora a carico di quest'ultima un preciso obbligo risarcitorio che consentiva l'applicazione di un successivo provvedimento ablatorio.
La motivazione passa ad esaminare l'aspetto normativo dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta di parte e dell’esecuzione del provvedimento di confisca.
Nel caso di specie, nel corso del procedimento la persona offesa era deceduta, fatto che determinava specifiche conseguenze patrimoniali; infatti, il reo era erede della persona offesa tanto che i due patrimoni si erano confusi non potendosi più accertare il profitto del reato quale entità che poteva essere fatto oggetto di un provvedimento di confisca.
La conclusione degli ermellini, pertanto, si fonda su di un esame del dettato normativo ed in particolare dell'art 322 ter del c. p., il quale, nell'individuare l'oggetto della confisca, parla di profitto del reato individuando un’entità specifica quale oggetto della misura che ne determina in maniera precisi i confini ed i limiti.