Il tribunale di Busto Arsizio applicava la misura della confisca nei confronti dei beni degli imputati, a seguito della contestazione e della condanna per il reato di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 74/2000.
Contrariamente, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Busto Arsizio revocava in parte la misura della confisca, limitandola solo ad alcuni dei beni che originariamente vi erano ricompresi.
Gli imputati, ritenendosi lesi nei propri diritti dalla misura della confisca, ricorrevano per Cassazione deducendo sei motivi di ricorso.
Uno dei quali riguardava la tecnica di formulazione del capo d' imputazione indicato nel decreto di citazione a giudizio, nella tesi difensiva rappresentata dalla ricorrente, esso si presentava come carente di un elemento fondamentale che ne determinava una nullità insanabile, estesa all'intero decreto di citazione a giudizio ed alla sua decisione.
Rappresentava il difensore degli imputati come il magistrato, in violazione alla normativa processuale, avesse omesso d'indicare nel capo d'imputazione le fatture delle quali si sosteneva l'inesistenza e che configuravano la condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti prevista e sanzionata dall'art. 2 del d.lgs. n. 74/2000.
Pertanto, deducevano gli imputati come da tale omissione derivasse un evidente vizio nella tecnica di formulazione del capo d'imputazione, il quale non definiva con precisione il fatto illecito contestato nel corso del procedimento, tanto da ledere il diritto di difesa degli imputati ai quali non era consentito di conoscere con esattezza i contorni della condotta criminosa loro ascritta.
Il procedimento, dopo avere esaurito il proprio corso, veniva deciso da parte degli ermellini con la sentenza n. 8530/2019.
La questione portata all'esame dei giudici della Corte Suprema e decisa con la sentenza qui in commento, era stata più volte dibattuta in tale sede trovando una soluzione uniforme.
Sul punto, della tecnica di formulazione del capo d'imputazione e del suo contenuto, i giudici della corte suprema si erano sempre espressi accogliendo una tesi in un certo senso intermedia.
Infatti, secondo gli ermellini non è necessario che il capo d'imputazione indichi con precisione tutte le fatture, nei loro elementi oggettivi e soggettivi, tuttavia, esso al fine di poterlo ritenere valido ed osservante della normativa processuale che ne regolamenta l'emissione, deve contenere elementi che comunque consentano la precisa individuazione della documentazione contabile (fatture) delle quali si sostiene che si riferiscano ad operazioni inesistenti.
Nel caso di specie, tale individuazione era certamente possibile così da determinare il rigetto dell'eccezione su di esso fondata.
Infatti, ove si osservi il contenuto del capo d'imputazione emesso nel corso del procedimento, che ha dato origine alla sentenza qui in commento, si evidenzia come in esso si faccia riferimento ad un elemento che consenta l'individuazione delle fatture contestate, dato che si allude con precisione agli anni tributari cui la documentazione contabile riferita ad operazioni inesistenti faceva riferimento.
Con tale indicazione, pertanto, viene soddisfatta la necessità dell'indicazione, sia pure attraverso la tecnica del richiamo delle fatture emesse per operazioni ritenute inesistenti che realizzavano la condotta prevista dall' art 2 del d.lgs. n.74/2000, configurandosi la relativa responsabilità dell'imputato.
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