14 luglio 2018

REATI FISCALI. SE NON C’È DEBITO, CADE IL SEQUESTRO

Cassazione Penale, sentenza depositata il 13 luglio 2018

Autore: Paola Mauro
Se il debito verso il fisco – comprensivo di interessi e sanzioni - è stato estinto, il giudice penale non può disporre la misura cautelare sui beni appartenenti all’indagato. La circostanza che quest’ultimo abbia interamente versato gli importi richiesti dall’Agenzia delle Entrate si pone come elemento necessariamente ostativo alla possibilità di procedere alla confisca di quello che è ritenuto il “profitto” del reato tributario e, per l’effetto, al sequestro finalizzato alla confisca medesima.

A fornire questa indicazione è la Sentenza n. 32213/2018 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, l’indagato è il legale rappresentante di una società di capitali, nei cui confronti è stato ipotizzato il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.lgs. n. 74/00.

Il difensore di fiducia si è opposto con successo al decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip e confermato dal Tribunale del Riesame, che ne ha ridotto soltanto l’importo.

Nell’accogliere il ricorso, i Giudici di legittimità rilevano che il sequestro in questione è stato disposto come misura prodromica volta a garantire l’effettività dell’eventuale successiva confisca del profitto del reato; tuttavia, va rilevato «come la circostanza che il contribuente abbia interamente versato all’erario gli importi richiesti dall’Agenzia delle Entrate, con riguardo a tutte le annualità in contestazione, si pone come elemento necessariamente ostativo alla possibilità di procedere alla confisca di quello che, dal Tribunale, è ritenuto essere il “profitto” del reato e, per l’effetto, al sequestro finalizzato alla confisca medesima».

Gli Ermellini affermano che tale conclusione non risulta inficiata dal richiamo, operato dal Tribunale, al principio del “doppio binario”, in virtù del quale le determinazioni assunte dall’Agenzia delle Entrate non sono vincolanti per il giudice penale; si deve infatti ritenere che un principio del genere «trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o quell’illecito tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non aver più nulla da pretendere dal contribuente medesimo».

In base al D.lgs. n. 74/00, art. 12-bis (Confisca): «1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. 2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta».
I Massimi giudici nella sentenza in esame, conclusivamente, affermano che, così come la previsione di cui al primo comma del citato art. 12-bis, disponendo, come obbligatoria, la confisca dei beni che, ai fini che qui rilevano, costituiscono il profitto dei reati tributari, è posta a garanzia della pretesa tributaria, parimenti l’ipotesi di cui al secondo comma sta a significare che «se non vi è pretesa tributaria, nemmeno vi può essere confisca e, di conseguenza, neanche la cautela reale ad essa finalizzata».

Nel caso di specie, dunque, il ricorso dell’indagato viene accolto e la Suprema Corte annulla il provvedimento impugnato senza rinvio, ordinando la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.
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