Con la sentenza n. 31 depositata il 20 marzo 2025 la Corte costituzionale ha chiarito che il Reddito di Cittadinanza non ha natura assistenziale. Il numero degli anni per il requisito della residenza, inoltre, si riduce da 10 a 5.
La Corte costituzionale con questa sentenza fornisce una visione diversa rispetto a quella esposta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ritenendo che la sua interpretazione non rappresenta un ostacolo per quest’ultima.
Perché non ci sono ostacoli tra le due sentenze
La Corte di giustizia europea nella pronuncia interpreta il diritto dell’Unione senza operare un sindacato sull’esattezza o meno dell’interpretazione del diritto nazionale.
D’altronde, è indiscutibile che l’interpretazione della Costituzione italiana è riservata alla Corte costituzionale e non alla Corte di giustizia europea che, invece, assume indiscutibilmente l’interpretazione dei trattati e del diritto derivato per assicurarne l’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri.
Perché il RdC non è un aiuto sociale
Il Reddito di Cittadinanza, eliminato dal 1° gennaio 2024, non ha natura assistenziale perché non è diretto a soddisfare bisogni primari delle persone ma è una misura temporanea pensata per favorire l’occupazione, per di più soggetta a precisi requisiti che, se non rispettati, ne determinano la decadenza.
Nel momento in cui il sussidio si dissocia dall’essere un aiuto sociale diventa possibile il radicamento territoriale, non determinando di per sé una violazione del divieto di discriminazione indiretta e delle relative disposizioni del diritto dell’Unione.
La Corte costituzionale riprende la raccomandazione del Consiglio del 30 giugno 2023, relativa alla necessità di un reddito minimo che garantisca l’inclusione attiva. Questa, infatti, consente agli Stati membri di accedere a prestazioni simili di struttura al RdC ricorrendo al requisito della residenza pregressa anche nella prospettiva di sostenere le finanze pubbliche.
Requisito di residenza, 10 o 5 anni?
Secondo la Corte costituzionale il RdC non guarda a quanto fatto in passato, ma alle chances dell’integrazione futura, mirando alla prospettiva di stabile inserimento lavorativo e sociale della persona coinvolta.
Per quanto la residenza pregressa di dieci anni possa rappresentare un requisito di favore per i cittadini italiani, la Corte ritiene che questo periodo decennale non sia adeguato a garantire i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità della Costituzione.
Il requisito della residenza pregressa, quindi, si riduce da 10 a 5 anni, per cittadini italiani, degli altri Stati membri e di Paesi terzi, ritenendo questo nuovo periodo “come una grandezza pre-data idonea a costituire un punto di riferimento presente nell’ordinamento”.
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