10 settembre 2018

Società esterovestita. Evasione IRAP irrilevante

Autore: Paola Mauro
Ai fini della quantificazione del profitto confiscabile, in ordine al reato di omessa dichiarazione, previsto dall'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000, è irrilevante l’evasione dell’IRAP, non trattandosi di un'imposta sui redditi in senso tecnico.

È quanto, fra l’altro, ha avuto modo di precisare la Corte di Cassazione (Sez. 3 pen.) con la lunghissima Sentenza n. 39678/2018, relativa a un imprenditore cui è stato contestato di aver fittiziamente localizzato la residenza fiscale della società all'estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
  • In breve, l’imputato – unitamente ad altri soggetti - è stato riconosciuto responsabile di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, per il periodo d’imposta 2007, in quanto la società in cui ricopriva la carica di amministratore di diritto e/o di fatto, è risultata solo formalmente residente in Lussemburgo ma con sede dell'amministrazione stabilmente in Italia.

Con la sentenza impugnata per cassazione, i giudici di appello di Milano hanno confermato sia la condanna sia le statuizioni del primo Giudice sulla confisca, per la somma complessiva di euro 10.877.500,00, indicata come importo dell'imposta evasa. Tale misura è diventata il cuore del dibattito, nel giudizio svoltosi dinanzi alla Suprema Corte.

Nel caso di specie, il capo d’imputazione, benché nella parte iniziale faccia espresso riferimento a uno scopo di evadere le sole "imposte sui redditi" e all'omissione delle dichiarazioni "relative a tale imposta", successivamente, nel determinare l'imposta asseritamente evasa, indica anche una pretesa evasione dell'IVA e dell'IRAP. La Difesa ha sostenuto che il recepimento, da parte dei Giudici di primo e di secondo grado, di tale indicazione è il frutto di un’evidente violazione di legge, sul rilievo:
  • che l'IRAP, non essendo un'imposta sui redditi in senso tecnico, non integra il fatto di reato contestato;
  • che le operazioni in materia di quote societarie sono, ai sensi dell'articolo 10 D.P.R. n. 633 del 1972, esenti da IVA cosicché parimenti non integrerebbero il fatto di reato.

La Difesa ha poi evidenziato che il computo dell’IVA e dell’IRAP, per determinare l'importo da sottoporre a confisca per equivalente, ha inciso negativamente anche sul trattamento sanzionatorio, tanto che proprio l'ammontare dell’imposta evasa è stato indicato come elemento ostativo alla concessione delle attenuanti generiche.

Ebbene, per la Suprema Corte sul punto il ricorso dell’imputato merita accoglimento.

Nella sentenza in esame gli Ermellini osservano che, ai fini dell'integrazione del modello legale dei fatti di reato tipizzati negli articoli 2, 3, 4 e 5 del D.lgs. n. 74 del 2000, è sufficiente che il dolo specifico («al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto») e l'oggetto materiale della condotta («in una delle due dichiarazioni annuali relative a dette imposte» o, nell'articolo 5, «non presenta, pur essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte») investano alternativamente le imposte sui redditi o l'IVA, configurandosi il reato, in presenza di tutte le altre condizioni richieste per l'integrazione della fattispecie incriminatrice, con l'evasione, oltre soglia, di una soltanto delle due imposte. Tenuto conto del concetto di «imposta evasa» di cui all'articolo 1, lett. f), del D.lgs. n. 74 del 2000, le uniche due imposte, la cui evasione può essere definita, in ossequio al principio di legalità, come penalmente rilevante, sono dunque le imposte sui redditi e l’IVA, con la conseguenza che fuoriescono dall'ambito oggettivo delle fattispecie le imposte non sussumibili nelle predette categorie o diverse da quelle tipizzate (come, ad esempio, l'imposta di registro o l'IRAP), in quanto non ricomprese nel perimetro disegnato dalle norme penali tributarie in precedenza richiamate. È poi necessario che, ai fini dell'integrazione e della determinazione dell'evento evasivo, le imposte (sui redditi o sul valore aggiunto), rientranti nel perimetro disegnato dal modello legale di reato, siano «dovute», requisito quest'ultimo ricavabile proprio dalla definizione dell'imposta evasa fornito dal richiamato articolo 1, lett. f), del D.lgs. n. 74 del 2000.

Alla luce di quanto sopra si deve ritenere – affermano sempre gli Ermellini - che, come fondatamente lamenta il ricorrente, «l'IRAP non possa concorrere a determinare l'imposta evasa. La ragione di ciò fonda sul rilievo che detta imposta, avendo natura reale, si considera non incidente sul reddito e tale circostanza motiva l'esclusione della dichiarazione IRAP ai fini della quantificazione dell'imposta evasa». Si tratta di un approdo che trova un aggancio nella Circolare del Ministero delle Finanze - (CIR) n. 154 E del 4 agosto 2000.

Nel caso di specie, pertanto, l'IRAP non poteva essere calcolata ai fini della determinazione dell'imposta evasa e, di conseguenza, per la quantificazione del profitto confiscabile. E neppure poteva essere considerata l’IVA, poiché l'operazione economica, produttiva del reddito, era esente da tale imposta, ex articolo 10, comma 4, D.P.R. n. 633 del 1972.

Di conseguenza, la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura ablativa, dovendosi quantificare con esattezza l'entità del profitto confiscabile e risolvendosi la complessiva quantificazione in un accertamento di fatto, non consistendo il predetto accertamento nella sola operazione aritmetica di sottrazione dell'IRAP e dell'IVA dall'importo dell'imposta evasa, come quantificata nell'imputazione, ma anche nella determinazione della plusvalenza tassabile.
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