27 luglio 2018

Sottrazione fraudolenta se la separazione dei coniugi è una farsa

Autore: Paola Mauro
L’accordo di separazione omologato, in conseguenza del quale il contribuente ha trasferito a moglie e figli minori l’immobile di proprietà, può integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11 co. 1 D.Lgs. n. 74/00, e giustificare il provvedimento di sequestro, se dagli elementi d’indagine emerge che la fine del matrimonio è solo una simulazione.

È quanto si evince dalla lettura della lunga Sentenza n. 32504/2018 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, che conferma il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, disposto dal GIP e avallato dal Tribunale del Riesame, nei confronti di un soggetto indagato per i reati di cui agli artt. 4 e 11 del D.Lgs. n. 74/00.

La misura cautelare in questione è stata ordinata sulle somme di denaro nella disponibilità dell’indagato, depositate a qualsiasi titolo presso vari istituti di credito, nonché, in caso d’incapienza, sui beni mobili e immobili in sua disponibilità fino alla concorrenza del valore complessivo di Euro 3.438.913,54, equivalente al profitto dei reati ipotizzati.

La Difesa ha chiesto la revoca del provvedimento ablatorio, deducendo la mancanza del requisito indefettibile del fumus commissi delicti.

Per quanto riguarda, in particolare, il reato di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 74/00, sono stati formulati i seguenti rilievi difensivi:
  • l'accordo di separazione consensuale (omologato) e il trasferimento immobiliare in luogo del mantenimento non sono fittizi e comunque non sono stati posti in essere a fini elusivi o fraudolenti in quanto autorizzati dal Tribunale e posti in essere prima della notifica dell'avviso di accertamento;
  • mediante il negozio di cessione l’indagato ha adempiuto, "una tantum", all'obbligo di mantenimento della moglie e delle figlie minori;
  • l'alienazione degli immobili non era idonea a pregiudicare le garanzie del credito dell'Erario in conseguenza degli strumenti di tutela forniti dal nuovo art. 2929-bis c.c.

L’indagato ha sostenuto che lui e la moglie erano effettivamente separati e residenti in Comuni diversi e che tale dato di fatto non poteva ritenersi smentito dalle fotografie dei relativi profili Facebook - peraltro estratte da personale dell'Agenzia delle Entrate e non da organi investigativi -, oppure dal fatto che la cassetta postale all'interno del condominio, recasse anche il proprio nome.

Nel disattendere le doglianze difensive, il Tribunale del Riesame, fra l’altro, ha osservato:
  • che la completa cessione dei diritti reali in data immediatamente precedente alla notifica dell'avviso di accertamento e la conoscenza certa dell'accertamento in corso costituiscono indici dell'intento fraudolento, non essendo necessario, ai fini dell’integrazione del reato, che sia già stata intrapresa l'azione di recupero del credito erariale;
  • che le fotografie postate su Facebook ritraevano l’indagato e la moglie insieme in vacanza;
  • che l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica alla separazione consensuale non esclude la sussistenza indiziaria del reato;
  • che un nipote dell’indagato aveva riferito alla Guardia di Finanza che lo zio era domiciliato nell’immobile dove sua moglie era titolare delle utenze elettriche e del gas.

Ebbene, confermando il verdetto del Tribunale del Riesame (che ha respinto l’istanza volta alla revoca del provvedimento di sequestro), gli Ermellini ricordano che, ai fini dell’adozione del sequestro preventivo, sono sufficienti gli indizi di reato, indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale.

I Massimi giudici, inoltre, ricordano che il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, ha natura di reato di pericolo concreto, cioè è integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare, secondo un giudizio "ex ante", l'attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria; «Il reato, dunque, sussiste a prescindere dalla fondatezza stessa della pretesa erariale e dagli esiti, eventualmente favorevoli per il contribuente, del contenzioso avente ad oggetto la pretesa erariale stessa. Non v'è dubbio, pertanto, che il trasferimento a titolo gratuito del bene mobile registrato o dell'immobile rende più difficoltosa l'azione recuperatoria, anche se esercitabile mediante pignoramento presso terzi. Tanto più che il terzo può contestare la sussistenza dei presupposti di applicazione dell'art. 2929-bis c.c., o che l'atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza del pregiudizio arrecato».

Infine, gli Ermellini evidenziano che il Tribunale ha opportunamente valorizzato quegli elementi d’indagine capaci di far ritenere che il vincolo coniugale, nella specie, non si sia mai effettivamente interrotto e quindi che l'omologa della separazione consensuale sia avvenuta in costanza della comunione di vita e d'intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento di detto vincolo.

A tal proposito, i Massimi giudici affermano che «ai fini della sussistenza del reato, è proprio l'evidente dissociazione tra la realtà documentata dall'atto (l'inesistenza della comunione di vita materiale e spirituale che è causa dell'accordo di separazione), opponibile ai terzi, e quella effettiva (l'esistenza di tale comunione), che può integrare gli estremi della fraudolenza richiesta dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, ai fini della sussistenza del reato. La dissociazione tra la funzione dell'atto e la realtà concreta ne rende chiara (certamente a livello indiziario) la natura strumentale posto che lo scopo dell'atto stesso è estraneo alla causa concreta e alla realtà fattuale che è deputato a disciplinare. Ne consegue, anche sul piano dell'elemento soggettivo, che, fermo quanto già detto in ordine ai limiti del suo accertamento in sede cautelare, tale dissociazione legittima la conclusione che lo scopo perseguito dal ricorrente fosse proprio quello ipotizzato dall'imputazione provvisoria».

Conclusivamente, la Suprema Corte rigetta il ricorso presentato dall’indagato e lo condanna al pagamento delle spese processuali.
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