L’Italia non è certo il primo Paese in cui è stata proposta l’introduzione di una sugar tax. Anzi, in molti Paesi, anche comunitari, una tale misura esiste da tempo.
La Danimarca, addirittura, aveva introdotto una prima versione di sugar tax già negli anni '30. Ma è stata anche la prima ad abbandonarla, laddove il governo danese ha, prima annunciato nel 2011 l'idea di abolire tale imposta e di sostituirla con una generica "Fat tax", da applicarsi su tutti i cibi considerati troppo grassi e poi l’ha abrogata (insieme alla nuova fat tax) nel 2013. E questo sostanzialmente perché per evitare il costo maggiorato ai consumatori bastava recarsi nei paesi limitrofi, come Germania e Svezia, per comprare ad un prezzo inferiore merci come burro e bibite gassate.
Sempre per restare in ambito internazionale, invece, in Francia la sugar tax è stata introdotta nel 2012 e riguarda tutte le bevande con aggiunta di zucchero o edulcoranti. L’imposta francese prevedeva un prelievo fisso di 7,53 €/ettolitro e ha portato a un incremento generalizzato sui prezzi delle bevande. A fine del 2017, il governo ha poi proposto di modificare la tassa in relazione al contenuto di zucchero dei prodotti, per invogliare le aziende a riformulare le ricette. Il 1° luglio 2018 è entrata quindi in vigore la nuova versione; la tassa per una bevanda con il 4% di zuccheri è di 0,045 €/l, per una bevanda con il 10% si arriva a 0,135 €/l, mentre per una con il 15% il costo aggiuntivo è di 0,235 €/l.
In Norvegia, poi, sullo stesso percorso della Danimarca, una sugar tax esiste fin dal 1922, e qui, a differenza che in Danimarca, invece di essere abrogata, nel gennaio 2018 è stata incrementata fino a 4,75 corone (0,49 €). Le vendite di bevande a base di zucchero sono così diminuite dell’11% rispetto al 2017.
Questi sono solo alcuni esempi di Stati in cui la tassa è stata introdotta.
Ma l’esempio forse più virtuoso è quello della Gran Bretagna.
La tassa britannica è differente da quelle applicate sinora nel resto del mondo, sia nella sua struttura sia nella sua finalità, che non è quella di far diminuire il consumo di bevande zuccherate, ma di spingere i produttori, attraverso la leva fiscale, a ridurne il contenuto di zucchero.
Criticità legate all’introduzione di una sugar tax
L'idea di una tassa sulle bibite zuccherate è stata comunque oggetto di critiche sotto diversi aspetti.
Uno degli argomenti portati a supporto per contestarne l'efficacia verte sull'idea che possa trattarsi di un'imposta regressiva, il cui impatto andrebbe a pesare maggiormente sui consumatori appartenenti alle fasce di reddito più basse.
Lo stesso aspetto è stato però usato per difendere l'efficacia della misura, che, disincentivando il consumo di quello che viene identificato come un bene dannoso per la salute, andrebbe in realtà a creare vantaggio, inducendo a ridurne l'utilizzo, proprio di quelle classi colpite dal provvedimento.
Un ulteriore elemento di criticità riguarda poi l'estensione della tassa o meno anche ad altri prodotti alimentari contenenti zuccheri aggiunti, quali, ad esempio, i succhi di frutta.
In particolare, i succhi di frutta sono stati parificati, da un punto di vista metabolico, alle bevande zuccherate, sebbene in molte versioni della tassa su di essi non venga applicato alcun sovrapprezzo.
Questo semplice esempio dimostra però come le conseguenze di una tale misura debbano essere analizzate anche sotto il profilo degli effetti sull’economia nazionale (forte nel settore dei succhi di frutta), che potrebbe dunque subire uno svantaggio concorrenziale a scapito di competitor esteri.
Andrebbero infine analizzati i profili comunitari, anche considerato che le accise sono un settore già armonizzato (dal punto di vista dell’Iva si sottolinea come tali tipi di prodotti scontano comunque già l’aliquota ordinaria).
Considerazioni conclusive
Volendo trarre alcune prime conclusioni, l'imposizione di una tassa sulle bibite zuccherate significa, in termini economici, che i rivenditori di bibite sarebbero costretti ad aumentare il prezzo della merce di un ammontare P2 rispetto al prezzo originale X, per poi tenere il resto della tassa per loro (P1), sotto forma di minore profitto per unità venduta.
Il peso della tassa (P2) renderebbe così più dispendioso per il consumatore acquistare bibite zuccherate, dato che una maggiore percentuale del suo reddito verrebbe dedicata all'acquisto della stessa quantità di merce.
Che sia imposta sul consumatore o sul rivenditore, in entrambi i casi il peso della tassa sarebbe condiviso tra entrambi gli attori dell'operazione economica.
E il modo in cui il peso della tassa viene diviso fra consumatore e venditore dipende dall'elasticità rispetto al prezzo del bene.
Nello specifico, Il peso ricade in misura maggiore sul rivenditore quando l'elasticità della domanda rispetto al prezzo è maggiore di quella dell'offerta, mentre ricade sul consumatore quando le condizioni sono opposte (ossia l'elasticità dell'offerta rispetto al prezzo è maggiore di quella della domanda).
L'elasticità del prezzo delle bibite zuccherate varia comunque inevitabilmente da nazione a nazione. Ad esempio, il valore dell'elasticità della domanda rispetto al prezzo per le bevande è stato calcolato essere di -1.37 in Cile, mentre in Messico pari a -1.16.