8 giugno 2018

Verbale di conciliazione. Termine ampio per il deposito

Il deposito del verbale di conciliazione non soggiace ai termini generali di deposito dei documenti in giudizio

Autore: Giovambattista Palumbo
Il verbale di conciliazione, fuori udienza, può essere depositato in giudizio sino alla data di trattazione in camera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblica udienza, in deroga alla previsione generale di cui all'art. 32 del D.lgs. n. 546/92, in tema di deposito di documenti nel processo.

Il caso - La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12886 del 24/05/2018, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti procedurali in tema di conciliazione.

Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione neiconfronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionaledella Liguria, che aveva respinto il suo appello contro ladecisione della Commissione Tributaria Provinciale di Savona.

La CTR aveva infatti affermato chela tardiva produzione del verbale di conciliazione, peraltro, a suo avviso, fondato su elementi non veritieri, determinava laconferma della decisione di primo grado.

L'Amministrazione finanziaria deduceva quindi la violazione dell'art. 48 D.lgs. n. 546/1992 (nel testo vigentefino al 31 dicembre 2015), essendo stato il verbale di conciliazione tempestivamente depositato dall'Ufficio e non potendo comunque la CTR ritenerne tardiva laproduzione, dovendo comunque ammettere il documento.

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, evidenziava che la conciliazione giudiziale costituisce un istituto deflattivo ditipo negoziale, rispetto al quale il giudice tributario può solo esercitare un controllo di legalità, meramente estrinseco, non potendo entrare nel merito delle valutazioni, laddove peraltro la CTR neppure spiegava per quali ragioni aveva reputato la conciliazione fondata su elementi non veritieri.

La decisione - I motivi di censura, secondo i giudici di legittimità, erano fondati.

Afferma infatti la Suprema Corte che, in tema di contenzioso tributario, la conciliazionecosiddetta abbreviata o aderita va distinta dalla conciliazionegiudiziale, in quanto quest'ultima, regolata (all’epoca) dall'art. 48, commasecondo, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, può avere luogosolo davanti alla Commissione provinciale, mentre la prima,regolata dal comma quinto del medesimo articolo, vieneraggiunta dalle parti al di fuori del processo. La proposta diconciliazione, alla quale l'altra parte abbia preventivamente aderito, poteva quindi essere depositata in giudizio sino alla data di trattazione incamera di consiglio, ovvero fino alla discussione in pubblicaudienza, così come, nella versione vigente ratione temporis, previsto dal comma quintodell'art. 48, norma, quindi, da considerarsi derogatrice diquella generale di cui all'art. 32 dello stesso D.lgs., in tema dideposito di documenti (cfr Sez. 5, n. 4626 del 22/02/2008).

E questo, peraltro, senza neppure considerare che, comunque, in tema di contenzioso tributario, il giudiced'appello può fondare la propria decisione anche sui documentitardivamente prodotti in primo grado, purché acquisiti alfascicolo processuale, in quanto tempestivamente e ritualmenteprodotti in sede di gravame entro il termine perentorio diventi giorni liberi prima dell'udienza, applicabile in secondogrado stante il richiamo, operato dall'art. 61 del citato decreto,alle norme relative al giudizio di primo grado (cfr. Sez. 5, n. 24398del 30/11/2016; Sez. 5, n. 3661 del 24/02/2015).

Conclusioni - A seguito delle modifiche apportate ad opera dell’art. 9, comma 1, lettere s), e t) del D.lgs. 156/15 (che ha sostituito il precedente art. 48, con i nuovi artt 48, 48 bis e 48 ter), quanto alla conciliazione “fuori udienza”, si prevede ora che, se “in pendenza del giudizio” le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta, sottoscritta personalmente o dai difensori, per la definizione totale o parziale della controversia. La formula “in pendenza di giudizio” sembra dunque ancora più ampia della precedente, o comunque, nell’ipotesi più restrittiva, con quella coincidente, anche considerato che, ai sensi dei commi successivi, viene stabilito che, se la data di trattazione è già stata fissata e sussistono le condizioni di ammissibilità, la commissione pronuncia sentenza di cessazione della materia del contendere e se, invece, la data di trattazione non è fissata, provvede con decreto il Presidente della sezione. Il limite temporale sembra dunque comunque coincidere con la data di trattazione della causa.

Quanto poi alla “conciliazione in udienza”, l’art. 48 bis stabilisce ora espressamente che “ciascuna parte entro il termine di cui all’articolo 32, comma 2, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia”, evidenziando ancor di più la differenza dei due istituti (in udienza e fuori udienza), quanto meno rispetto al termine valido per la definizione dell’accordo.

In ogni caso, conclude la Cassazione, la conciliazione giudiziale, prevista dall'art. 48 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce un istituto deflativo di tipo negoziale, attinente all'esercizio di poteri dispositivi delle parti, e si sostanzia in un accordo tra le parti, paritariamente formato, avente efficacia novativa delle rispettive pretese, in ordine al quale il giudice tributario è chiamato ad esercitare un controllo di legalità meramente estrinseco, senza poter esprimere alcuna valutazione relativamente alla congruità dell'importo sul quale l'Ufficio e il contribuente si sono accordati (cfr. Sez. 5, n. 21325 del 03/10/2006).

La natura negoziale dell’accordo sembra peraltro ora ancor più accentuata nella versione post D.lgs. 156/15, laddove il comma 4 del predetto articolo 48 stabilisce che la conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo (e non più con il versamento), che costituisce quindi già titolo per la riscossione delle somme dovute.

In sostanza viene pertanto cristallizzato il principio secondo cui l’intervenuto accordo ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente porterà solo alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall’accordo stesso.

In caso di mancato pagamento delle somme dovute dall’ente impositore l’accordo vale dunque come titolo da far valere davanti al giudice ordinario.
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