Con un emendamento approvato in sede di discussione della Legge di Bilancio, è stata prevista l’esclusione, in specifiche ipotesi, dell’applicazione delle sanzioni previste a carico degli enti locali per le violazioni della normativa sul patto di stabilità interno e sul pareggio di bilancio.
Con un emendamento approvato in sede di discussione della Legge di Bilancio è stato previsto che:
- per i Comuni che hanno rinnovato i propri organismi in elezioni svoltesi nel 2018, non trova applicazione la sanzione consistente nel divieto di assumere personale a qualsiasi titolo (sanzione di cui all’articolo 1, comma 475, lett. e), della Legge n. 232/2016);
- per i Comuni in stato di dissesto o pre-dissesto al momento in cui la violazione è stata accertata dalla Corte dei Conti, non trovano applicazione le limitazioni amministrative previste dall’articolo 31, comma 26, della Legge 183/2011 e dall’articolo 1, comma 723, della Legge n. 208/2015 (riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio, limiti agli impegni di spesa corrente, divieto di indebitamento per gli investimenti, divieto di assunzione di personale, riduzione delle indennità di funzione, obbligo di versare entro 60 giorni l’importo corrispondente allo scostamento di bilancio registrato);
- per i Comuni in stato di dissesto che hanno adottato la procedura semplificata di accertamento e liquidazione dei debiti (di cui all’articolo 258 del TUEL), non trova applicazione la sanzione consistente nel divieto di assumere personale a qualsiasi titolo, nel caso in cui il mancato raggiungimento del saldo obiettivo sia diretta conseguenza del pagamento dei debiti residui mediante utilizzo di una quota dell’avanzo accantonato.
L'opportunità della disapplicazione delle sanzioni da infliggere agli enti locali che hanno sforato l'obiettivo del pareggio di bilancio è stata dunque valutata alla luce delle conseguenze che tale applicazione avrebbe avuto sui conti degli enti e sulla vita delle stesse comunità che a tali enti fanno riferimento.
L’equilibrio tra entrate e spese, del resto, è (o dovrebbe essere) il principio fondamentale per tutte le aziende di erogazione.
C’è però una grande differenza, ad esempio, tra quello che deve fare una famiglia e quanto può invece disporre un ente pubblico.
Nella famiglia, infatti, se le entrate sono 100 a loro volta le spese non possono che essere al massimo pari a 100, se si vogliono fare quadrare i conti.
Un ente pubblico, invece, è dotato di “sovranità” e, se ha bisogno di 100 e non ce li ha, in teoria, potrebbe imporre imposte per 100.
Per questo motivo in tutte le democrazie liberali si è voluto limitare tale potere e così è nata la contabilità pubblica, che, con il bilancio di previsione, mira, appunto, ad autorizzare la gestione (e dunque anche le relative spese).
Ogni volta che si impegna una spesa, occorre quindi prestare attenzione agli equilibri finanziari e controllare che, a fronte della spesa, ci sia non solo una previsione di bilancio, ma anche un’effettiva copertura in termini di entrate.
Senza poter entrare in questa sede nel dettaglio della contabilità degli enti locali, abbiamo dunque due “aree” di bilancio:
- quella delle spese correnti, che deve essere finanziata con entrate di natura ordinaria;
- quella delle spese di investimento, che trova come fonte di finanziamento l’indebitamento, le cessioni di beni patrimoniali e l’avanzo disponibile.
Il punto di collegamento tra queste due aree è rappresentato dall’avanzo di amministrazione, nel quale confluiscono voci di natura corrente, ma che, tranne eccezioni, deve essere prioritariamente utilizzato per finanziare investimenti.
L’avanzo di amministrazione, in sostanza, può essere calcolato come di seguito riportato:
+ Residui Attivi
+ Fondo Cassa
- Residui Passivi
Laddove i residui attivi sono entrate accertate, ma non ancora riscosse ed anche entrate riscosse, ma non ancora versate (o incassate) e i residui passivi, analogamente, sono, o diventeranno, dei debiti, ovvero spese impegnate, ma non liquidate o semplicemente non ancora pagate.
Dall’entità dei residui dipende dunque la misura e l’esistenza dell’avanzo di amministrazione.
E il TUEL impone il “riaccertamento dei residui”, ovvero la verifica della loro esistenza, come atto necessario prima dell’approvazione del rendiconto, laddove è chiaro che dalla correttezza del riaccertamento dipende la veridicità del rendiconto.
Appunto per tutelare tale veridicità il Legislatore, con la riforma contabile del 2011, ha chiesto di procedere ad un accantonamento a fronte dei residui non incassati.
Lo scopo della normativa sull’armonizzazione della contabilità pubblica è stato quello di realizzare un riassetto negli equilibri contabili dei Comuni, con l’obiettivo di pervenire ad una gestione del bilancio più aderente all’effettiva dinamica delle entrate e dei rispettivi incassi (e delle spese).
E, in tale contesto, la L. n. 242/2012 ha introdotto la regola contabile dell'equilibrio di bilancio per Regioni ed enti locali, dettando le disposizioni per assicurare l'equilibrio dei bilanci e il concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico, dando così attuazione a quanto previsto dalla Legge costituzionale n. 1/2012, che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio.
La nuova regola, ha così sostituito il patto di stabilità interno.
Il contenuto della nuova regola, che costituisce il modo mediante cui Regioni e Province autonome, Comuni, Province e Città metropolitane concorrono al conseguimento dei saldi e degli obiettivi di finanza pubblica, è dettato in particolare dal comma 466 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2017, nel quale si stabilisce che tali enti devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali.
Il fatto che il saldo sia richiesto solo in termini di competenza comporta il venir meno del previgente vincolo per cassa ai pagamenti in conto capitale, consentendosi in tal modo, agli enti locali che hanno liquidità, di poter procedere ai pagamenti passivi di conto capitale, favorendosi così gli investimenti.
Su alcuni degli istituti previsti dalle nuove regole, ed in particolare proprio sull'avanzo di amministrazione è poi intervenuta anche la Corte Costituzionale, con decisioni orientate a ridurre la vincolatività sulla gestione di bilancio degli enti territoriali (vedi Sentenza Corte Cost. n. 247 del 2017), con particolare riferimento alla circostanza che la regola del pareggio, per come formulata, esclude l'avanzo di amministrazione dalle entrate computabili ai fini del conseguimento dell'equilibrio di bilancio, atteso che tale risultato deriva da risorse non imputabili alla competenza economica dell'esercizio: e ciò non consente quindi agli enti di utilizzare nell'esercizio corrente la quota di avanzo conseguita nell'anno precedente. Sul punto la Consulta ha dichiarato la legittimità delle norme sopradette, fornendone però nel contempo una interpretazione costituzionalmente orientata. Nel riconoscere che l'esclusione dell'avanzo in questione dal saldo soggetto al pareggio costituirebbe, ove fosse permanente, una immotivata penalizzazione finanziaria degli enti virtuosi, la Corte afferma infatti che tale esclusione risulta giustificabile unicamente in via transitoria, vale a dire con riferimento al bilancio di previsione.
Una volta invece che l'avanzo risulti consolidato, vale a dire accertato in sede di rendiconto, lo stesso può essere iscritto in bilancio tra le entrate del nuovo esercizio in corso, in quanto, precisa la sentenza, il risultato di amministrazione è parte integrante del concetto di equilibrio di bilancio.
Con la Circolare n. 25 del 3 ottobre 2018 la Ragioneria generale dello Stato ha fatto poi un ulteriore passo verso la completa “liberalizzazione” dell’uso degli avanzi di amministrazione, dichiarando in modo molto diretto che:
a) “le città metropolitane, le province e i comuni, nell’anno 2018, possono utilizzare il risultato di amministrazione per investimenti”.
b) “ai fini della determinazione del saldo di finanza pubblica per l’anno 2018 … gli enti considerano tra le entrate finali anche l’avanzo di amministrazione per investimenti applicato al bilancio di previsione del medesimo esercizio”.
Per concludere (senza pretesa di esaustività, vista la grande complessità di questi temi), si rileva come la disciplina dell'equilibrio di bilancio è accompagnata da una serie di sanzioni per il caso di mancato conseguimento del saldo obiettivo (ed anche un meccanismo premiale, incentrato sul raggiungimento del saldo obiettivo).
L’emendamento approvato prova dunque ad introdurre un ulteriore meccanismo di “raffreddamento” in un contesto di gestione finanziaria, oggettivamente, non semplice.