“La riforma della giustizia tributaria del 2022 ha finalmente certificato la nascita della magistratura tributaria, il cui elemento qualificante è quello di garantire una più spiccata professionalizzazione e specializzazione dell’organo giudicante, attraverso il reclutamento di giudici a tempo pieno, selezionati per concorso. L’istituzione di questa magistratura rappresenta un risultato importantissimo, che il Consiglio nazionale dei Commercialisti ha fortemente sostenuto e che non può essere messo in discussione. Piuttosto, per un più rapido popolamento del ruolo dei nuovi magistrati tributari e per una più efficace e celere messa a regime della riforma occorre che il legislatore intervenga rispetto alla prevista assunzione tramite concorso di 68 nuovi magistrati tributari per ciascuno dei 7 anni dal 2024 al 2030 (per un totale di 476 unità). Essendo infatti improbabile che si riescano a svolgere 7 concorsi in 7 anni, è necessario rinfoltire quanto più possibile – anche nell’ottica del principio di economicità delle procedure – il numero dei posti da bandire con il primo concorso nonché anticipare a quest’anno l’avvio della procedura concorsuale stessa”. È questa una delle proposte avanzate dal presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Elbano de Nuccio, nel corso del suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario tributario, svoltasi ieri a Roma.
De Nuccio ha poi sottolineato l’importanza, tra le disposizioni sul processo tributario, di quella relativa all’espressa codificazione del principio dell’onere della prova. Al riguardo, l’auspicio dei commercialisti “è che i giudici sappiano e vogliano riconoscere e valorizzare gli elementi di assoluta novità e specificità con i quali il legislatore ha inteso declinare detto principio in ambito tributario, in conformità ai principi del giusto processo e della parità delle parti. Non credo si possa derubricare l’intenzione del legislatore della riforma nella semplice riproduzione del principio codificato nell’articolo 2697 del codice civile (già ritenuto pacificamente applicabile nel processo tributario), essendo invece evidente la volontà di fornire al giudice una regola di giudizio più rigorosa in particolare in presenza di accertamenti di natura presuntiva particolarmente frequenti nella nostra materia”.
Quella della giustizia tributaria, ha proseguito, “è dunque nel complesso una buona riforma, nonostante la parte processuali manchi di quella sistematicità e organicità che una riforma di carattere strutturale avrebbe richiesto. Ed è infatti in relazione alle norme processuali che restano “sul tappeto” taluni aspetti di criticità sui quali occorrerà intervenire al più presto. Mi riferisco, in particolare, a una maggiore effettività della tutela del contribuente nei confronti del silenzio/diniego di autotutela, a una più puntuale disciplina degli effetti processuali del litisconsorzio necessario o, ancora, all’applicazione del principio della soccombenza virtuale in caso di cessazione della materia del contendere e all’eliminazione della condanna alle spese nella fase cautelare. La spinta impressa dal legislatore alla specializzazione del giudice tributario e l’estremo tecnicismo delle materie da sottoporre al loro scrutinio richiederebbero altresì un parallelo adeguamento delle norme in materia di abilitazione all’assistenza tecnica che sarebbe opportuno limitare ai professionisti iscritti negli albi degli avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, gli unici in grado di garantire il tecnicismo e la specializzazione necessari per la pienezza, integrità ed efficacia delle facoltà difensive”.
Il presidente della categoria ha infine chiesto l’abrogazione dell’innalzamento a 5.000 euro del limite di valore per il giudizio monocratico tributario di primo grado, per tutelare così il valore della collegialità degli organi di giustizia tributaria.
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