La prestazione svolta dal consulente tecnico del giudice nella causa di separazione volta a censire i beni mobili, immobili e i redditi dichiarati dalle parti processuali, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, deve essere liquidata alla stregua di un perizia patrimoniale. L’accertamento del CTU sulla base della documentazione tributaria, contabile e della conservatoria immobiliare non ha natura fiscale neanche quando le indagini di polizia tributaria – per l’accertamento della reale situazione patrimoniale dei coniugi - sia stata lacunosa.
La sentenza. Lo si ricava dalla sentenza 24 ottobre 2013, n. 24128, della Corte di Cassazione - Seconda Sezione Civile.
Osservazione della S.C. La Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto da un professionista che dovrà pertanto accontentarsi dei 4.650 euro liquidati dal Tribunale per l’incarico di consulenza tecnica espletato nel corso di una causa di separazione. Gli Ermellini, pur prendendo atto che il CTU ha svolto l’indagine patrimoniale mobiliare, immobiliare e reddituale, hanno ritenuto non applicabile la previsione di cui all’articolo 2 del D.M. 30 maggio 2002. E ciò anche se il consulente ha lamentato che la prestazione eseguita non si era esaurita nel mero controllo di dati già acquisiti e che, dunque, l’indagine svolta non poteva essere compensata come una semplice stima dei patrimoni riconducibili ai coniugi che si stavano separando legalmente.
Sul punto la S.C. ha condiviso le argomentazioni del Tribunale secondo cui il lavoro svolto dal professionista ha avuto carattere unitario, pur avendo il medesimo dovuto esaminare le dichiarazioni dei redditi, la documentazione bancaria e le risultanze catastali. Peraltro, nell’ambito dell’attività svolta, era da considerare assorbente quella inerente all’esame del reddito mobiliare. Sulla base di tale rilievo il giudice del merito ha correttamente inquadrato la prestazione resa dal CTU nell’ambito della previsione di cui all’articolo 3 del citato D.M. del 2003, “essendosi trattato di consulenza in materia di valutazione di patrimoni relativi anche a beni mobili”, sicché l’attività non poteva essere ricondotta, come preteso dal consulente, nella nozione di perizia contabile o fiscale, “essendosi il CTU limitato a tener conto, senza entrare nel merito, dei dati risultanti dalla dichiarazione fiscale, contabile e della Conservatoria, al fine pervenire al dato finale del reddito complessivo delle parti”.
Unico compenso a percentuale. Insomma, il Tribunale ha ben giudicato quando ha liquidato in favore del consulente tecnico, ai sensi dell’articolo 3 del D.M. 30 maggio 2002, un unico compenso a percentuale, e non un compenso per ogni verifica compiuta. Nella consulenza tecnica in materia di valutazione di patrimoni, basata sul mero esame di dati documentali acquisiti, infatti, la pluralità delle verifiche da effettuare non esclude l’unicità dell’incarico e la connessa unitarietà del compenso, ma può assumere rilevanza esclusivamente ai fini della determinazione del compenso, che la legge fissa per ogni scaglione tra una percentuale minima e una massima, nonché costituire elemento di apprezzamento ai fini dell’eventuale esercizio, da parte del Tribunale, del potere discrezionale di aumentare i compensi liquidati al CTU, ai sensi dell’articolo 52 del D.M. 115/2002.
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