14 gennaio 2013

Professionisti e divorzio: cosa spetta al coniuge?

Entrambi professionisti, uno subordinato all’altro, sarà il titolare a dover versare l’assegno divorzile.

Autore: Redazione Fiscal Focus
I fatti - Nel mondo professionale capita tutti i giorni di imbattersi in studi all’interno dei quali, affianco al titolare, svolge la propria attività anche il coniuge. In questi casi, quando il matrimonio è ben saldo, lo studio è da intendersi alla stregua di un bene comune dal quale trarre profitto e realizzazione. Vi sono però casi in cui uno dei due coniugi presta la propria attività professionale “al servizio” dell’altro e quasi sempre si tratta della componente femminile della coppia, che spende gli anni migliori della propria carriera professionale concorrendo alla crescita di quella del marito. In alcune famiglie di professionisti capita poi che qualcosa vada storto, che l’equilibrio professionale e domestico perda la propria stabilità e lasci per strada cocci che difficilmente possono essere rimessi insieme. In tali evenienze il titolare dello studio finisce con il sottolineare la propria podestà in quell’ambiente, mentre il coniuge professionista che lì lavorava da dipendente dovrà trovare una nuova soluzione. Il problema è che, in genere, questo secondo attore dalla vicenda non sarà più competitivo come avrebbe potuto esserlo all’inizio della carriera, quando invece si era dedicato alle attività del coniuge. Cosa fare? A dare una risposta quanto più esaustiva è la Corte d’Appello di Ancona, Sezione promiscua civile, con la sentenza n. 563/2012 del 20 aprile del 2012.

Il caso – Una professionista under sessanta, abilitata all’esercizio della professione di commercialista e laureata in giurisprudenza, nell’arco dell’intera vita professionale aveva coadiuvato il marito, noto avvocato, seguendo dal punto di vista fiscale i clienti di questi. In seguito al divorzio, dopo un lungo rapporto coniugale, la donna si era trovata senza lavoro e senza reddito, peraltro con l’impossibilità di riprendere la propria professione in quanto incapace di competere con commercialisti più giovani e aggiornati (tant’è che non avendo più clienti, si era trovata costretta a cancellarsi dall’albo non potendone più sostenere le spese contributive). La commercialista, appellata e appellante incidentale della suddetta sentenza, non avendo alcun reddito sottolineava la necessità nella ricezione dell’assegno divorzile da parte del marito, nonché di quello di mantenimento per le figlie maggiorenni ma non economicamente sufficienti (una delle quali, tra l’altro, con un figlio a carico). Il marito, avvocato rinomato e appellante, rifiutava l’assegno alla moglie, pur dichiarandosi disponibile a coprire interamente le spese ordinarie e straordinarie delle quali necessitavano le figlie e il nipote.

La decisione dei giudici – I giudici hanno accolto l’appello incidentale della donna, concordandole l’assegno, e allo stesso tempo hanno quantificato la disponibilità di sostentamento dimostrata dall’avvocato nei confronti delle figlie, mentre per quel che concerne il nipote è stata lasciata discrezionalità. L’uomo, titolare di un grosso studio legale, si è visto quindi negato l’accoglimento della richiesta di revoca dell'assegno di divorzio. Secondo i giudici di merito, quindi, l’impossibilità della professionista “di reperire un lavoro adatto alle sue capacità (in possesso di diploma di ragioneria, laurea in giurisprudenza e abilitazione all'esercizio della professione di dottore commercialista) e comunque di essere reintegrata nel mondo del lavoro, risultano ostacolate e sostanzialmente impedite da molteplici fattori, ed in particolare, dalla ormai obsoleta esperienza professionale della stessa, stanti la rapida evoluzione delle normative in materia e la necessità di aggiornamento continuo, dall'età e dalle condizioni della donna (ultrasessantenne, la quale in costanza di matrimonio durato oltre venti anni aveva dovuto dedicarsi anche alla famiglia, composta da marito e due figlie), dalla ormai maturata perdita di esperienza e di aggiornamento (dal 2003 la [professionista, n.d.r.] non ha più svolto incarichi professionali per il marito avvocato e i clienti dello stesso), dalla concorrenza di giovani laureati e diplomati sicuramente più aggiornati rispetto alla vigente normativa, nonché dalla notoria crisi che affligge il mercato del lavoro, dove se è difficile trovare un inserimento lavorativo per giovani laureati lo è tanto più per una donna sessantenne”. In aggiunta a ciò, si è anche tenuto conto del reddito della donna, inadeguato a mantenere gli standard di vita simili o analoghi a quelli goduti in costanza di matrimonio. Neanche i “lavoretti” svolti dalle figlie esonerano il padre dal versamento dell’assegno, in quanto non sono risultati sufficienti a renderle economicamente autonome. Anche la casa coniugale è quindi spettata alla moglie.
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