8 aprile 2025

Monitoraggio fiscale. Utilizzabilità ampia delle prove provenienti dal penale

Autore: Paola Mauro
Non qualsiasi irritualità nell'acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, a meno che non venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale quali, ad esempio, l'inviolabilità della libertà…

Il caso: diponibilità finanziarie detenute a San Marino

Il contribuente non ha adempiuto agli obblighi previsti dalla normativa sul monitoraggio fiscale; in particolare, ha omesso di indicare nel quadro RW del Modello Unico 2006 le disponibilità che gli derivavano da attività finanziarie detenute nella Repubblica di San Marino, con conseguente presunzione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di maggiore reddito in misura corrispondente.

Ebbene, la sentenza del Giudice d’appello è stata di riforma di quella di primo grado, che aveva annullato l’atto impositivo.

La C.T.R. dell’Emilia Romagna ha, infatti, ravvisato la correttezza dell’operato erariale quanto alla pretesa avanzata ai fini dell’IRPEF, oltre sanzioni, nonché pienamente utilizzabili, ai fini fiscali, i documenti provenienti dalla rogatoria nell’ambito del procedimento penale a carico del contribuente per i reati di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e abusivo esercizio del credito bancario.
A quest’ultimo proposito il contribuente ha invocato i principi di cui agli artt. 111, 113 e 117 Cost., nonché la Convenzione dell’8 novembre 1990 in materia di riciclaggio e del combinato disposto della Convenzione di Amicizia e Buon Vicinato 31 marzo 1939 fra Italia e San Marino e degli artt. 1 e 12 della legge n. 104 del 2009 della Repubblica di San Marino.

Clausola di “specialità”

Il suddetto motivo d’impugnazione muove dal rilievo che la documentazione utilizzata dall’Amministrazione Finanziaria italiana era stata acquisita in sede penale tramite assistenza giudiziaria della Repubblica di San Marino, la quale aveva apposto la clausola di specialità sulla stessa, disponendone il divieto di utilizzo “per fini diversi da quelli indicati nella domanda”, sicché non poteva ritenersi legittima – secondo il ricorrente - la successiva autorizzazione all’utilizzo dei documenti rilasciata dal P.M. procedente ai sensi dell’art. 33, comma terzo, del D.P.R. n. 600/1973.

Dal canto loro gli Ermellini hanno rilevato che, nel caso di specie, la documentazione in questione, «una volta acquisita tramite assistenza giudiziaria al procedimento penale di destinazione, fu trasmessa – nei termini e agli effetti previsti dal citato art. 33, comma terzo, del d.P.R. n. 600/1973 – non già all’Autorità giudiziaria di un diverso procedimento penale, bensì agli “uffici delle imposte” per quanto di loro competenza.»

Eventuali limitazioni apposte all’utilizzo degli atti acquisiti tramite rogatoria – ha proseguito il Supremo Collegio - non si estendono al processo tributario, proprio in quanto quest’ultimo, diversamente dal processo penale, ha natura amministrativo - contenziosa e mira non già all’accertamento della responsabilità penale, ma a quello del debito d’imposta, tanto che finanche le informazioni illecitamente acquisite in sede penale sono valutabili dal Giudice tributario quali elementi indiziari che possono concorrere a formare il suo convincimento (in tal senso, fra le altre, Cass. n. 25473/2022; Cass. n. 11162/2021; Cass. n. 31085/2019).

Si è riconosciuto, pertanto, che «non qualsiasi irritualità nell'acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso», fatta esclusione per «i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale quali l'inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.» (cfr. Cass. n. 24923/2021; Cass. n. 20358/2020; Cass. n. 31779/2019).

Più in particolare, si è detto che «non esiste nell'ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite. Tale principio è stato introdotto nel nuovo codice di procedura penale, e vale, ovviamente, soltanto all'interno di tale specifico sistema procedurale (v. art. 191 c.p.p.)», con la conseguenza che «l'acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso» (così, ancora, Cass. n. 8605/2015).

A tale articolato quadro di principi – secondo la Corte - si è conformata la C.T.R. emiliana, che, interrogandosi sui margini di utilizzabilità nell’accertamento tributario dei documenti acquisiti in sede penale con “clausola di specialità”, ha affermato, con richiamo alla giurisprudenza costituzionale e a diversi arresti della Cassazione, che il fondamento dell’inutilizzabilità potrebbe rinvenirsi solo ove la stessa riguardasse un diritto fondamentale di rango costituzionale, mentre, nel caso di specie, «l’interesse leso dalla prova acquisita in violazione di un divieto di legge è quello all’osservanza delle convenzioni internazionali», che «non può essere compreso tra i diritti fondamentali di rango costituzionale, non ricevendo tutela dall’art. 10 Cost.».

La Suprema Corte ha aggiunto che la finalità della Convenzione dell’8 novembre 1990 – cui è riconducibile la “clausola di specialità” apposta dall’autorità sammarinese sulla documentazione oggetto di assistenza giudiziaria - è la cooperazione in un’ottica repressiva dei reati economici, e ciò giustifica una limitazione d’uso dei documenti soltanto al fine di impedirne l’impiego nelle indagini su reati di altro tipo, non l’impiego per finalità diverse dalla repressione penale.

In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del contribuente, che è stato anche condannato al pagamento delle spese del giudizio.
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