24 settembre 2013

CERTEZZA DEL DIRITTO CERCASI

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,
in questi giorni mi sono soffermato su una questione che reputo altamente delicata: la certezza del diritto. Si tratta di un tema sul quale ci si sofferma con frequenza tanto da divenire, in ultima analisi, anche un ennesimo pretesto di polemica tra il presidente del Consiglio, Enrico Letta, e uno dei suoi predecessori, Silvio Berlusconi. Per il primo dei due l’Italia è un Paese nel quale non possono sussistere dubbi in merito alla certezza del diritto, per il secondo invece questa certezza in Italia non esiste. È chiaro che si tratta di due posizioni estreme, ma che possono comunque far nascere dubbi e pretese di chiarimenti che si convogliano verso una riflessione più generale.

La mia intenzione odierna è quella di tracciare una mappa di riflessioni e casi, lasciando a voi le considerazioni finali. Nessuna riforma strutturale né manovra economica né tantomeno una modifica della Carta costituzionale potrà verificarsi se prima la squadra esecutiva, e con essa il Parlamento, non si decidono a risolvere l’impasse nel quale è piombato il Belpaese in virtù di questo controsenso. Uno Stato saturo di norme, sanzioni e regolamenti, che però non determinano una certezza in fase di applicazione. Cosa dovrebbe fare il governo della Penisola? In primo luogo dovrebbe snellire il quadro normativo, con regole poche ma certe. Il punto è che lo stato attuale non solo ha generato, nel corso degli anni, una mala giustizia e delle procedure sempre più lunghe, quanto anche dei costi eccessivi per le casse statali. Quindi la riforma dell’apparato giudiziario potrebbe anche essere considerata alla stregua di un’azione da spending review. Inoltre se la giustizia è lenta e incerta, i riflessi negativi confluiranno in ogni ambito sociale ed economico. Per tale ragione vi è la necessità che le norme vengano scritte in maniera chiara, a scanso di equivoci interpretativi, che vengano ridotte e che siano fatte rispettare in tempi relativamente brevi senza che si presenti la possibilità di errori.

Premesso che avere un apparato giudiziario snello e puntuale favorisce la crescita civile ed economica di un Paese perché incide nei diversi ambiti della vita sociale e produttiva, il settore sul quale vorrei focalizzare l’attenzione è quello tributario. In questo caso è chiaro che le leggi, le sanzioni e le norme vengono introdotte nel sistema con l’unico fine di soddisfare delle esigenze di cassa dello Stato. Ogni volta che vi è necessità di risorse economiche, il governo di turno aumenta la percentuale di una tassa o ne aggiunge una nuova. Purtroppo è una tale situazione che rende effimere le leggi tributarie, in quanto vengono introdotte senza alcuna programmazione e spesso violano i diritti sanciti dallo Statuto del Contribuente perché hanno effetto retroattivo. Un esempio può essere la recente modifica apportata alla questione delle polizze vita e che avevamo già affrontato nei giorni scorsi. In pratica è stato abbassato il tetto massimo di deducibilità delle polizze vita. Il governo è infatti recentemente intervenuto per portare a 630 euro (finora era fissato a quota 1.291,14 euro) il tetto massimo per le polizze stipulate o rinnovate dopo il 2000, la contrazione della soglia massiva vale per il periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2013. Poi a decorrere dal periodo d'imposta 2014, il tetto si ridurrà ancora arrivando a 230 euro. L’intervento è già di per sé deplorevole, in quanto aggrava la situazione fiscale dei cittadini, tuttavia ha anche un altro fattore che genera discordia e riguarda il carattere retroattivo, in chiara violazione dello Statuto del contribuente.

“(Efficacia temporale delle norme tributarie) 1. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. 2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. 3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati”. Questo è l’articolo 3 dello Statuto del Contribuente che stabilisce, a scanso di dubbi interpretativi, la non retroattività delle norme tributarie. Ciononostante, dal giorno della sua introduzione il presente testo è stato violato centinaia di volte. La necessità di aumentare il gettito statale ha generato nei vari governi l’impellente bisogno di venire meno alle leggi che loro stessi hanno ratificato. Come nel caso citato delle polizze vita, la retroattività irrita i cittadini/contribuenti, che sono sempre più di frequente chiamati a dar conto di tasse e tributi ‘imprevisti’.

Cosa c’entra questo con la certezza del diritto? Ebbene, sapere quante e quali tasse pagare non rientra forse in un sistema normativo trasparente e sicuro? Io ritengo di poter rispondere affermativamente a un tale quesito. Dovrebbe essere questa la base sulla quale erigere una vera tax compliance, ossia il sereno rapporto tra Fisco e contribuenti. Una serenità e chiarezza che in Italia esiste solo a parole, perché nei fatti non abbiamo certezze. E ne abbiamo diversi esempi. Parliamo di Imu… ancora non sappiamo il destino della seconda rata sulla prima abitazione né se l’imposta si eviterà solo per quest’anno o anche per gli anni futuri. Poi passiamo all’Iva, per la quale da martedì prossimo ci dovrebbe essere l’aumento dell’aliquota ordinaria dal 21% al 22%, ma ancora non si sa se ci sarà. Senza dimenticare la service tax, che prima la vogliono, poi non la vogliono e infine non lo sanno più neanche loro!

Intanto i contribuenti non hanno risposte perché è impossibile programmare il presente, figuriamoci il futuro! Se un aspirante imprenditore viene in studio a chiedermi un piano sulle possibili tasse che verrebbe a pagare una volta costituita l’impresa, io non so cosa rispondergli. Le tasse di oggi già domani potrebbero essere aumentate, per non parlare della possibilità che domani ne introducano una che faccia pagare tasse per gli esercizi presenti ieri l’altro. Il sistema è quindi confuso, poco chiaro e pieno di ostacoli per chi vi si approccia. E probabilmente è anche questo uno dei motivi che spinge non poche imprese a delocalizzarsi. Se ne vanno all’estero, perché l’imposizione e la burocrazia del nostro Paese sono diventati pesanti, insopportabili e incomprensibili. Dal 2000 al 2011, secondo i dati esposti nei giorni passati dalla Cgia di Mestre, le aziende che hanno delocalizzato le proprie strutture sono aumentate del 65%, finendo con il superare le 27mila unità.

La macchina dello Stato è lenta e farraginosa. E non solo per quel che riguarda l’apparato giudiziario e tributario, quanto anche per quel che concerne la Pubblica Amministrazione. Di recente un collega mi ha raccontato che la sua società ha chiesto nel 2008 un rimborso Iva per svariati milioni. Tuttavia per ottenerlo è stata pretesa una fideiussione. In sostanza: lo Stato, che è debitore, ti chiede una garanzia per darti dei soldi che ti deve. È questa la cruda realtà. Un labirinto senza via d’uscita!

Ormai l’Italia è diventata il Paese dei diritti schiacciati dall’oppressione di una burocrazia che non vuole riformarsi. Se questa è la realtà e questi sono i casi, a fronte di altre innumerevoli situazioni difficili che si presentano quotidianamente, vi chiedo e mi chiedo se il nostro sia davvero un Paese nel quale poter investire. Lascio il quesito sospeso, ricordando quante imprese nostrane fanno i bagagli e vanno via. Ciò detto, potrei concludere ironicamente con le parole dello scrittore tedesco Goethe, il quale ha affermato che “quando dalla gente si pretendono doveri e non le si vogliono riconoscere diritti, bisogna pagarla bene”.
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