Era stato annunciato come un “sacrificio senza precedenti”, il contributo chiesto dal Governo a banche, assicurazioni e ministeri: 3,5 miliardi necessari per tentare la quadratura del cerchio della manovra 2025, evitando così di chiedere altri denari al popolo italiano, già sfiancato da guerre, pandemie e crisi.
Ma il tutto, sbirciando le tabelle studiate dai tecnici del Mef, non è altro che la riproposizione di un meccanismo già utilizzato dai governi precedenti, in cui soprattutto banche e assicurazioni di sacrifici ne fanno ben pochi.
L’art. 3 della Legge di Bilancio spiega l’arcano: il meccanismo è il ben noto congelamento della quota delle deduzioni, ovvero le somme che ogni anno banche & assicurazioni utilizzano per tagliare le tasse. Un gioco perverso previsto dalla legge, che permette di sottrarre dalla parte di reddito che rientra nei calcoli di Ires e Irpef una cifra pari a percentuali di perdite, svalutazioni sui crediti e costi di avviamento. Il sacrificio è esattamente qui: fra il 2025 ed il 2026 dovranno astenersi dal farlo, ma questo non significa affatto che quei denari un tempo risparmiabili andranno persi, perché invece di essere calcolati annualmente, saranno spalmati negli esercizi futuri, fino al 2029.
Scendendo nel dettaglio, per le banche significa che le deduzioni 2025 per gli avviamenti al 13% slittano al 2026, e quelle 2026 al 10% per la svalutazione dei crediti si distendono fra il 2027 e il 2029. Mentre per le assicurazioni si tratta di un versamento anticipato delle imposte di bollo, calcolato “in diminuzione della prestazione erogata alla scadenza o al riscatto della polizza”. Dai tagli ai ministeri, per finire, arriverà un contributo pari a circa 0,1 punti di PIL, più o meno 2,1 miliardi di euro, con l’aggiunta di altri 700 milioni dai tagli previsti per gli enti territoriali.
Una sorta di ruota del criceto, che per quanto velocemente giri torna sempre al punto di partenza, perché tutto ciò che lo Stato incasserà oggi, andrà restituito domani. Per dirla con la matematica, che non notoriamente non è mai un’opinione, a fronte di un aumento di Ires e Irpef stimato in più di 3,5 miliardi fino al 2026, i prospetti indicano un calo degli stessi dal 2026 al 2030.
Volendo fare i cattivi significa pensare all’oggi infischiandosene del domani, scaricando le perdite sui conti futuri, quelli che toglieranno i sonni ad un altro governo. Un po’ il meccanismo perverso del leggendario Superbonus, i cui effetti sono ancora a lungo rilascio, come gli antibiotici.
Cosa c’è di nuovo in tutto questo? Nulla, appunto. Il “sacrificio senza precedenti” è in realtà una via di fuga utilizzata nel 2018 dal governo Conte, che per far quadrare la legge di bilancio aveva fatto slittare al 2026 la quota di deduzioni sulle perdite e svalutazioni dei crediti delle banche. Non contento, il governo Conte II – quello definito “giallorosso” per via della coabitazione fra M5S e PD – aveva riproposto l’illusione ottica l’anno successivo, e la stessa prestidigitazione per finire era riuscita al governo guidato da Mario Draghi, in quel caso alla ricerca di coperture per mettere un freno al caro bollette.
Quindi, di fatto, anche questa volta si tratta di un semplice prestito che in fondo il sistema bancario e quello assicurativo possono permettersi di reggere senza patire la fame, visto che anche quando le cose vanno male, loro storicamente non ci rimettono mai.
Ma qualcosa, nella foto d’insieme un po’ sfocata, sembra salvarsi.
La piccola clausola nascosta al comma 5 dell’art. 3, che dal prossimo anno consente alle banche di sottrarre dall’imponibile un tetto massimo del 65% del reddito totale per perdite ed eccedenze dei passati esercizi, aprendo le casse dello Stato per far posto a 695 milioni di euro di Ires. Poco, e comunque meglio di niente, ma di gran lunga distante dall’idea di aver richiesto un sacrificio senza precedenti.