11 luglio 2013

E LA STORIA CONTINUA!

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,
col tempo di vacanze è giunto anche quello della riflessione. Mettendo in un canto le critiche e i pessimi umori che hanno caratterizzato i mesi scorsi, vorrei ora porre l’accento su una questione che da un paio di giorni sta ritornando più volte tra i miei pensieri. In altri termini, mi chiedo fino a che punto sia opportuno avvalersi, democraticamente e legittimamente, degli strumenti della giustizia per far valere i propri diritti, ma di fatto bloccando l’intera categoria? Mi vorrei soffermare su questo punto, alla luce degli ultimi eventi che hanno interessato il nostro Consiglio nazionale, deponendo però le insegne dell’antagonismo, con l’espressa volontà di capire qualcosa in più. Qualcosa che mi sfugge.

Andiamo con calma, però. Esaminiamo i fatti. Dopo la pronuncia del TAR del Lazio, che aveva rigettato il ricorso presentato da Siciliotti e da altri membri della sua compagine, lo stesso ex presidente ha presentato appello contro la suddetta sentenza (n. 06540/13) al Consiglio di Stato. Palazzo Spada, da parte sua, ha stabilito per il prossimo 30 luglio l'udienza cautelare in camera di consiglio al fine di pronunciarsi sulla questione.

In sostanza il primo ricorso presentato dal raggruppamento di Siciliotti, poi respinto dal TAR del Lazio nelle scorse settimane, chiedeva la sospensione del decreto a mezzo del quale il Ministero della Giustizia aveva sciolto il Consiglio nazionale e lo aveva sottoposto a Commissariamento straordinario. Sempre tramite quel decreto, il Guardasigilli aveva disposto le nuove elezioni per il 20 febbraio scorso, alla luce degli esiti fallimentari delle operazioni svoltesi il 15 ottobre. Anche in questo caso però si era reso necessario l’intervento di Palazzo Spada che, a pochi giorni dalla data prescelta, ha deciso di sospendere le nuove elezioni e di sottoporre la bagarre al suddetto TAR, il quale avrebbe dovuto presentare tre precisi giudizi di merito su altrettanti punti indicati proprio dal Consiglio di Stato. Ora, dopo la sentenza n. 06540/13 con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio si è chiaramente espresso, quindi con il conseguente nuovo ricorso dell’ex presidente, la categoria è tornata nella fase di stallo.

Questi sono i fatti nudi e crudi. Lungi da me il voler entrare nel merito delle questioni, anche perché sono già state lungamente analizzate altresì su queste pagine nel corso dei mesi precedenti, contemporanei e successivi alle campagne elettorali. Oggi vorrei fare un salto in avanti, consapevole che ormai le parole non hanno più alcuna forza, che risultano inutili alla luce della situazione che si è andata a creare.

Al momento vedo solo che c’è un uomo che, con la piena legittimità degli strumentidemocratici messi a sua disposizione, intende far valere dei diritti che ritiene gli siano stati sottratti. Può essere un atteggiamento condivisibile, nel senso che ciascuno di noi, vedendosi calpestato, vorrebbe fare di tutto, entro i limiti della legge, per rivendicare la propria giustizia. Mi chiedo però se sia sempre valido agire in questo modo, anche nel caso in cui le proprie azioni, portando giustizia a noi, ledono gran parte della comunità alla quale apparteniamo che, nel caso specifico, è la categoria dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Fino a che punto l’esigenza personale di giustizia può permettersi di bloccare la nostra categoria? È davvero lecito anteporre i propri interessi, seppur giusti, a quelli della collettività che da troppi mesi attende una rappresentanza e un buon governo?

Non so quali risposte dare a simili dubbi. Quel che so davvero, con esperienza fatta sul campo, è che la categoria soffre e non merita che una simile impasse si protragga ancora per altri mesi. A questo punto ci tocca attendere il prossimo 30 luglio, con la speranza che sia l’ultimo appuntamento e che poi finalmente ci diranno come procedere, fissando magari la data delle nuove elezioni. È trascorso quasi un anno da quando tutta questa bufera ha avuto inizio, è ora quindi che qualcuno ponga la parola fine e volti pagina!

Henry Ford, fondatore della famosa casa automobilistica, sosteneva che “il fallimento è la possibilità di ricominciare in maniera più intelligente”. Non sprechiamola, dunque, questa opportunità! Ricostruiamo dalle macerie del fallimento, tenendo da parte personalismi leciti o meno. La categoria chiede di ripartire con intelligenza e volontà di andare avanti.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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