8 luglio 2015

Il merito non può dipendere dal “portafoglio”

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici,
questo nostro Paese sta diventando di giorno in giorno la terra di cittadini di serie A e cittadini di serie B, dove a incidere sulla classificazione non sono il merito né le competenze né tantomeno precise prestanze fisiche o attitudinale (già forme pesanti di discriminazione), bensì la ‘pesantezza’ del portafoglio.

Già diverse misure nel corso degli ultimi anni hanno dimostrato questa vergognosa direzione che ha intrapreso la linea governativa del Paese, a prescindere dai colori e dalla ‘tecnicità’ dei governanti. Le scelte esecutive hanno spesso calpestato capacità e competenze dei cittadini, hanno chiuso gli occhi sulla meritocrazia (questa sconosciuta!), aprendo invece le braccia a un classismo mascherato da democrazia. Una sorta di carnevale prolungato!

Una delle più recenti disposizioni in tal senso è inscritta nella Legge Delega sulla Pubblica Amministrazione. In sostanza, dopo il primo via libera al Senato, è passato all’esame della commissione Affari Costituzionali della Camera l’emendamento alla citata Delega in base al quale i criteri di valutazione dei candidati ai concorsi pubblici non riguarderanno più solo il voto, ma anche l’ateneo di provenienza, oltreché fattori contestuali in grado di depurare da effetti distorsivi l’esito del titolo accademico.

Una buona proposta? In sostanza, i nostri governanti ci stanno dicendo che studiare, sacrificarsi e prendere un buon voto non sarà più determinante per ottenere soddisfazioni quando si deciderà di partecipare a un concorso pubblico. Determinante sarà invece la valutazione del contesto accademico nel quale quel voto è stato ottenuto. Lo fanno, dicono loro, per evitare che i giovani scelgano percorsi più facili per arrivare alla laurea.

Ripropongo quindi la domanda: una buona proposta? No, non lo è. È una proposta che va ad accentuare differenze di reddito tra chi può permettersi di frequentare un certo ateneo piuttosto che un altro, portandosi dietro la medesima dose di impegno e di merito. Secondo questo ragionamento, che a quanto pare sta ottenendo il plauso della maggioranza dei parlamentari, un voto alto non avrà la stessa valenza se ad attastarlo è una Università invece che un’altra.

In questo modo non si premia il merito. Non si garantiscono le medesime possibilità a tutti, ma si ampliano le differenze. Sinceramente non credo che il mio voto di laurea, rilasciato da una Università del sud, possa essere considerato inferiore al medesimo voto rilasciato da una Università del nord. Non prendiamoci in giro! Un voto gonfiato può verificarsi ovunque (come abbiamo visto negli anni), così come il merito e i sacrifici sono uguali in tutti gli Atenei del Paese.

Il governo voleva dare un segnale ai giovani? Ebbene, lo ha fatto: un segnale di sfiducia e di disgusto.

Roberto Gervaso scrisse che “c'è un successo che si fonda sul merito e uno sulla fortuna. Il primo dura di più; il secondo costa di meno”. Il governo sta lavorando affinché i giovani d’oggi costruiscano il loro successo sulla fortuna: quella di aver potuto studiare in determinate Università piuttosto che in altre.
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