29 luglio 2013

LA VITA È SOPRAVVIVENZA

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,
ci risiamo! Qualcuno ha aperto gli occhi e tutti gli altri tentano di ripristinare la dilagante cecità. Si evade per sopravvivere, questa la sintesi delle ultime (ma non tanto) affermazioni del viceministro per l’Economia e le Finanze, Stefano Fassina. In realtà non sono posizioni nuove per l’esponente della sinistra democratica, visto che già lo scorso anno aveva avuto modo di approfondite il concetto sul suo libro. Proprio in ragione di ciò, ammetto di non comprendere questa indignazione che si è andata diffondendo, soprattutto tra le fila del partito del viceministro.

È evidente, più che un salto a destra, le affermazioni di Fassina intendono tracciare un solco tra ciò che è verità teorica e ciò che è verità concreta. È chiaro che l’evasione va sradicata. Nessuno sta qui a difendere quanti sottraggono al fisco cifre importanti, che lo Stato potrebbe reinvestire poi per riforme strutturali sia nel campo dell’occupazione che in quello dei servizi. Tuttavia, come abbiamo più volte sottolineato, non si può rimanere insensibili innanzi a quel che realmente avviene nel quotidiano. Le imprese, soprattutto le piccole e medie, sono oppresse da difficoltà di stampo burocratico e fiscale. A tal proposito, Confcommercio, oltre a rilevare una pressione fiscale effettiva al 54%, ha anche condotto un confronto tra gli adempimenti a carico delle aziende italiane e quelli che invece devono eseguire le aziende estere (non solo europee). Ciò che in Inghilterra, in Germania, in Francia e negli Usa, ad esempio, si può completare in una manciata di giorni, nel nostro Paese ha bisogno di mesi. Se in quegli altri Stati bastano pochi adempimenti per avviare un’attività o un contratto di lavoro, da noi superano la cinquantina. Per non parlare poi dei tempi di giustizia, che in Italia sono tradizionalmente biblici.

Intanto le imprese muoiono e l’avvio della ripresa si fa sempre più lontano!

Ma si rendono conto, sindacalisti e politicanti, che le piccole imprese del Centro Nord spesso si trovano costrette ad evadere e che se non lo facessero dovrebbero chiudere i battenti o avviare una serie di licenziamenti? Hanno una vaga idea della devastazione che si verificherebbe in seno all’economia del Mezzogiorno? L’economista Luca Ricolfi, qualche giorno fa, affermava che “le aliquote in particolare quelle che gravano sulle imprese, sono fra le più alte del mondo”, sottolineando altresì che “se si volesse davvero far pagare tutto a tutti, mezzo Paese verrebbe giù”.

Con questo non voglio dire che l’evasione è utile, quanto piuttosto che bisogna analizzarla da un altro punto di vista. Come ho già sottolineato nei giorni scorsi, ritengo molto più proficuo che il governo optasse per un abbassamento della pressione fiscale. A quel punto, con le tasse ridotte, si potrà lottare contro i veri disonesti, non contro chi cerca di sopravvivere alla recessione.

Una riduzione delle tasse, delle imposte e dei tributi non può non andare di pari passo con una saggia e mirata spending review. Le cesoie dello Stato devono scendere lì dove lo Stato stesso spreca di più. Purtroppo però pare che su questo punto i paladini della legalità, senza se e senza ma, abbiano le mani legate o se le siano legate di proposito. Semplificare e tagliare, queste dovrebbero essere le parole d’ordine di un Paese che vuole crescere.

Tutto il resto è solo slogan benpensante, utile per gli applausi. Parole messe in bocca a gente che, per testimoniare la propria (r)esistenza sul palcoscenico politico, ogni tanto deve dir qualcosa. È così che guadagnano lo stipendio, che comunque arriva a prescindere dalla crisi!

Inoltre non si comprende questa dura intransigenza di facciata, quando in molte occasioni anche i giudici hanno ritenuto non colpevoli per omesso versamento Iva, quegli imprenditori fortemente minati dalla crisi. Tra le prime pronunce della giurisprudenza, troviamo infatti la sentenza n. 158/29/12 della CTR del Lazio. Secondo i giudici di merito, infatti, la crisi di liquidità dell’impresa può considerarsi ‘forza maggiore’ rendendo inapplicabili le sanzioni amministrativein ambito tributario. Il contribuente ha ritardato il pagamento delle imposte, ma è stato esentato da sanzioni poiché la violazione è stata causata dalla lentezza nei pagamenti della PA. Caso analogo è quello vagliato dal Tribunale di Milano, Sezione GIP, sentenza n. 3926/2013, quando un imprenditore, al quale era stato contestato il reato di omesso versamento delle ritenute, veniva assolto poiché costretto all’irregolarità, anche qui, a causa dei ritardi dei pagamenti della PA. Il dissesto economico dell’impresa, incapace quindi di fronteggiare le proprie obbligazioni fiscali, era stato causato da un soggetto terzo che, dulcis in fundo, coincideva con l’Amministrazione Pubblica!!

Infine, anche il tribunale di Novara, sentenza 21 marzo 2013, ha assolto il legale rappresentante di una coop per il mancato versamento di ritenute certificate e IVA per il 2006, per il quale erano stati richiesti cinque mesi di reclusione. I giudici, considerando la mancanza di liquidità dovuta a fattori estranei alla gestione della società, hanno escluso i reati contestati.

Ecco, in definitiva, che non pochi sono stati gli interventi della giurisprudenza che hanno confermato quanto recentemente dichiarato dal viceministro e più volte sottolineato anche da queste pagine. Chi si tappa gli occhi e le orecchie innanzi a simili situazioni, rimane insensibile nei confronti del Paese. Si tratta però di un atteggiamento fortemente ipocrita e molto distante dai contribuenti e dagli imprenditori che lottano giornalmente per tentare di guadagnarsi un pezzo di pane, tra mille difficoltà e senza un futuro certo. È giusto, non ci stancheremo mai di dirlo, contrastare con ogni mezzo i comportamenti illeciti, ma che si puntino i cannoni del fisco contro i grandi evasori, quelli che portano via i loro capitali sommersi e li nascondono nei cosiddetti ‘paradisi fiscali’. Confcommercio ha stimato che l’economia sommersa rappresenta il 17,4% del Pil. Una quota che, se rientrasse entro i confini della legalità, potrebbe far schizzare il Paese tra i primi posti delle potenze economiche. Peccato però che il rientro nei ranghi della legalità non conviene ai pescecani della finanza. Quindi ecco che ci si rifà sui pesci piccoli, quelli che si arrangiano per non dover fallire… Quelli che sopravvivono malgrado la recessione.

E poi si ci mette anche l’ex ministro Visco, a puntare ancora una volta il dito contro i datori di lavoro che, a suo dire, sarebbero i grossi evasori a scapito dei dipendenti che invece pagano le tasse. Sarebbe opportuno che Visco ricordasse che, a fine mese, nonostante la recessione, i dipendenti ricevono lo stipendio, mentre il datore di lavoro si accolla il rischio aziendale e finisce sul lastrico. Tenga presente, l’ex ministro, che dalla fine del 2007 alla fine del 2012 sono fallite più di 15mila imprese solo per i mancati pagamenti delle PA.

Questi politicanti parlano di lotta, di contrasto, di pugno duro contro qualcosa che non conoscono. Contro la verità che fingono di non vedere. Purtroppo però, come direbbe un vero lottatore, Mike Tyson, “la vita non è un gioco. È sopravvivenza”. Quindi, che smettano di giocare e decidano, una volta per tutte, da che parte stare!
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