7 settembre 2013

LE IMPRESE MUOIONO… E LORO PARLANO A VANVERA

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,
a distanza di qualche settimana ci troveremo ancora una volta, quali bravi servitori del Fisco, a inviare telematicamente le dichiarazioni di Unico 2013 relative al periodo d’imposta 2012. A tal proposito, nel visionare per l’ultima volta la dichiarazione di una srl, sono stato indotto ad alcune riflessioni sulle difficoltà di fare impresa in Italia. E mentre mettevo insieme numeri e pensieri, mi sono ritrovato a prendere atto che questo genere di riflessioni dovrebbero farle anche i politici che ci governano, peccato però che non ne abbiano le competenze!

Dunque, a prescindere dalle belle parole dei nostri governanti, coi dati alla mano dei miei clienti mi sono convinto sempre di più che in Italia il lavoro non è una condizione conveniente. Considerando i soldi che lo Stato pretende da noi sotto le spoglie di tasse, imposte e contributi, ritengo possa essere molto più utile dedicare il proprio tempo a qualche hobby o, se proprio si ha la necessità di lavorare, consiglierei di approdare oltre i confini nazionali.

Questo è lo scenario che io vedo e che ritengo non possa cambiare, a meno che non si verifichi qualcosa di veramente sconvolgente che possa invertire la marcia di questa continua sopraffazione del Fisco nei confronti dei contribuenti, in generale, e delle imprese, in particolare.

Ciò detto vorrei tornare alla dichiarazione dei redditi con la quale ho esordito, che ricordo si riferisce a una piccola srl con due soci, entrambi impegnati a lavorare all’interno di essa.

La situazione che vorrei prospettare si inserisce nel contesto economico di questa grave crisi che da circa cinque anni sta caratterizzando il sistema finanziario del nostro Paese (e dell’Europa più in generale). La difficile congiuntura economica ha mandato sul lastrico molte imprese, poiché ne ha ridotto i ricavi e ha annullato quasi tutto l’utile.

Ritornando alla società in esame, è emerso che il bilancio al 31/12/2012 presenta un utile ante imposte ridotto a circa 30.000 euro. Si badi che, anche a costo di privarsi di passioni e affetti, i due imprenditori hanno sacrificato per la propria attività le rispettive esistenze. Figuratevi che uno di loro, grande campione di atletica, non ha più il tempo neanche di infilarsi le scarpette!

Ebbene, partendo dall’utile esiguo, misero, non sufficiente a garantire la sussistenza delle due famiglie, la tassazione imposta in capo alla società è di circa 15.000 euro. Arrivando quindi a un carico tributario di circa il 50% tra Ires e Irap.

Ma la pressione fiscale non si arresta a questo primo gradino, poiché anche i soci sono colpiti da una forte imposizione tributaria e previdenziale. L’anno 2012 hanno pagato i contributi Inps sul minimale, versando circa 3.000 euro ciascuno, portando così il conto a 21.000 euro circa (15.000+3.000+3.000). Ed ancora gli stessi, lavorando nell’azienda, oltre ai contributi pagati sul minimale, devono versare anche i contributi Inps a percentuale sulla parte di reddito eccedente il minimale. Nel caso di specie, la società, avendo un reddito fiscale a seguito delle riprese di circa 43.000, costringe ciascun socio a versare altri 1.400 euro circa di contributi Inps. E fin qui, si badi, non è stato prelevato ancora nessun utile!

Sta di fatto che l’imposizione fiscale, con un utile civile di circa 30.000 euro, è già arrivata a circa 24.000, ossia circa il 80% dell’utile prodotto nel 2012.

Ma non è ancora finita, perché se nel corso del 2013 si preleva l’utile netto realizzato nel 2012, o meglio quel che è rimasto (15.000=30.000- 15.000), anche per far fronte alle proprie esigenze familiari i soci subiranno un’ulteriore tassazione.

In sostanza partendo da un utile civile prodotto dalla società nel 2012 pari a circa 30.000 euro, le imposte pagate dalla società e dai soci arrivano ad assorbire quasi l’85% di esso. Non dimentichiamo che la stessa società durante l’anno avrà dovuto sopportare anche altre tasse, quali, ad esempio, il diritto annuale della camera di commercio, tassa vidimazione libri sociali, IMU, ecc.

Su tutto ciò, per concludere, grava anche il rischio di un controllo entro i cinque anni successivi. Infatti il Fisco potrebbe effettuare dei controlli sulla fedeltà fiscale dell’azienda e magari accertare maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati o presunti, ad esempio sulla base delle risultanze degli studi di settore.

Ovvio che (purtroppo!) il caso appena citato non è isolato. L’Italia è tempestata di piccole e grandi storie del genere. E se proprio qualche giorno fa il viceministro all’Economia, Stefano Fassina, dava prova dell’incompetenza dell’esecutivo, questi episodi testimoniano come quella incompetenza abbia poi conseguenze devastanti per il sistema imprenditoriale della Penisola. Scrivono decreti, introducono e cancellano tasse, ma non conoscono il contesto nel quale quelle parole che varano sono destinate poi a operare.

Il punto è che fin quando i nostri politici e governanti non apriranno gli occhi sui reali problemi del Paese (che non si circoscrivono all’Imu, ma arrivano fino all’aggravio impositivo e al cuneo fiscale, oltreché alle incombenze burocratiche), saremo costretti ad assistere a una reazione a catena di fallimenti, chiusure e imprenditori e contribuenti messi in ginocchio, che o si arrendono o vanno all’estero. Spiragli al momento non ce ne sono e se qualche governante vede la luce in fondo al tunnel, allora faccia attenzione, potrebbe essere quella dell’uscita di scena!
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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