15 luglio 2024

Falso in bilancio per i crediti inesigibili

Autore: Paola Mauro
Il reato di falso in bilancio può dirsi realizzato quando il Giudice accerta che i fatti esposti non corrispondenti al vero sono idonei a indurre altri in errore. Per “altri” vanno intesi non solo i soci e i creditori sociali, ma anche i terzi, quali potenziali e futuri soci, creditori o contraenti.

È quanto emerge dalla lettura della sentenza n. 27462/2024 della Corte di cassazione, che ha reso definitiva la condanna inflitta in appello, per il reato dell'art. 2621 cod. civ.1, all’amministratore unico di una S.r.l. che ha indicato nel bilancio di esercizio per l’anno 2015 come esigibili crediti in realtà inesigibili. Circostanza questa che i Giudici di merito hanno ritenuto essere nota all’imputato, essendo debitrici società facenti capo in alcuni casi al medesimo o a suoi congiunti.

La Difesa, dal canto suo, ha eccepito l’assenza della capacità ingannatoria delle indicazioni valutative dell’imputato, da ritenersi mere irregolarità senza rilevanza penale.

Ad avviso degli Ermellini, però, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi hanno appurato l’idoneità ingannatoria della condotta, in sintonia con il principio per cui il delitto di false comunicazioni, a seguito della riforma attuata dall'art. 9, comma 1, L. 27 maggio 2015, n. 69, è delitto di condotta a pericolo concreto, per cui spetta al Giudice operare «una valutazione di causalità ex ante, vale a dire che dovrà valutare la potenzialità decettiva della informazione falsa contenuta nel bilancio e, in ultima analisi, dovrà esprimere un giudizio prognostico sulla idoneità degli artifizi e raggiri contenuti nel predetto documento contabile, nell'ottica di una potenziale induzione in errore in incertam personam. Tale rilevanza, proprio perché non più ancorata a soglie numeriche predeterminate, ma apprezzata dal giudicante in relazione alle scelte che i destinatari dell'informazione (soci, creditori, potenziali investitori) potrebbero effettuare, connota la falsità di cui agli artt. 2621, 2621-bis, 2622 c.c. Essa, dunque, deve riguardare dati informativi essenziali, idonei a ingannare e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per i destinatari. [...] L'alterazione di tali dati, per altro, non deve necessariamente incidere solo sul versante quantitativo, ben potendo anche il c.d. "falso qualitativo" avere una attitudine ingannatoria e una efficacia fuorviante nei confronti del lettore del bilancio. Invero, la impropria appostazione di dati veri, l'impropria giustificazione causale di "voci", pur reali ed esistenti, ben possono avere effetto decettivo (ad esempio: mostrando una situazione di liquidità fittizia) e quindi incidere negativamente su quel bene della trasparenza societaria, che si è visto costituire il fondamento della tutela penalistica del bilancio» (Cass., S.U., n. 22474/2016).

Nel caso di specie, in particolare, il Tribunale - trovando poi l’avallo della Corte d’Appello - ha operato la valutazione “ex ante” richiesta, rilevando come le modalità dell'inganno fossero funzionali a dimostrare la solidità della società e la capacità della stessa di onorare i propri impegni verso gli altri operatori economici.

Si tratta, quindi – chiosano gli Ermellini -, di una congrua valutazione in concreto ed “ex ante”, relativa alla potenzialità ingannatoria del bilancio, nei confronti degli operatori economici tutti, quindi di una pluralità indefinita di soggetti, ai quali è rivolta la tutela del bene della trasparenza e verità dell'informazione societaria, tanto che la citata Sezioni Unite richiama la circostanza che la potenziale induzione in errore sia in “incertam personam”, il che corrisponde al dettato normativo che, se per un verso fa riferimento «ai soci e al pubblico», solo quali destinatari dei «veicoli» delle false comunicazioni sociali, per definire quali relazioni e quali bilanci siano documenti integranti la condotta del reato in esame, per altro verso collega la capacità decettiva non solo ai predetti destinatari, bensì anche ad «altri», quindi non solo i soci e i creditori sociali, ma anche i terzi, quali potenziali e futuri soci, creditori o contraenti.

In definitiva, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato, per l’effetto, il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre la somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.

1Art. 2621 cod. civ.
False comunicazioni sociali. (1)
«Fuori dai casi previsti dall'art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi».
(1) Articolo così sostituito dall’art. 9, comma 1, L. 27 maggio 2015, n. 69.
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