La problematica relativa al conflitto di interessi è disciplinata dal codice civile con particolare severità per quel che attiene alla trasparenza, alla salvaguardia del danno e del suo eventuale risarcimento. Tale severità è funzionale al ruolo svolto dal soggetto incaricato all’amministrazione di una società, il quale, destinatario di un rapporto fiduciario nella gestione del patrimonio altrui, non può avvalersi di tale posizione per trarre vantaggi personali od a beneficio di terzi. Al verificarsi di una causa che possa ravvisare l’insorgenza di un conflitto di interessi, ai sensi dell’articolo 2391 del c.c, “l’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata (…)”. Tale obbligo, di portata generale, va rispettato tutte le volte che gli amministratori hanno un interesse personale, indipendentemente dal fatto che esso possa coincidere con quello della società. Inoltre, nel caso in cui la società venga amministrata da un amministratore unico, è stabilito che lo stesso dia notizia della situazione di incompatibilità in occasione della prima assemblea utile.
Obbligo della comunicazione - Gli amministratori hanno l’obbligo di procedere alla comunicazione tutte le volte che si verifica un potenziale conflitto di interessi. Ipotesi, tuttavia, non sempre facilmente determinabile. Ad esclusione dell’articolo 2390 del c.c, non si rinviene altra disposizione che concorra a determinare cosa debba considerarsi conflitto di interessi e, di conseguenza, quando sorga l’obbligo di comunicazione oggetto di commento.
Possibile definizione di conflitto di interessi - In senso stretto, si può definire conflitto di interessi quella situazione nella quale si viene a trovare l’amministratore quando una sua decisione o partecipazione ad essa possa essere condizionata dalla presenza di un interesse personale che, traendo un vantaggio ingiustificato per sé o per terze persone, arrechi danno alla società.
Soggetti attivi del reato - Configurandosi quale ipotesi di reato proprio, può essere commesso solo dall’organo ammnistrativo o di gestione. Regolato dall’articolo 2629 bis del C.c, tale reato è integrato dalla previsione di cui all’articolo 2391 del C.c per violazione dell’obbligo di comunicazione. Trattandosi, però, di un presupposto di fatto, per considerare integrato il delitto, la società deve aver ricevuto un danno da tale omissione.
Sanzione - La sanzione applicabile, prevista dall’articolo 2629 bis, è la reclusione da uno a tre anni se dalla violazione siano derivati danni alla società.
Il ruolo dei sindaci nell’attività di vigilanza - Appare utile anticipare come il collegio sindacale, tra gli altri, ha anche il compito di esercitare quella funzione di vigilanza riconosciutagli dalla legge e dallo statuto societario. Non a caso, allo stesso viene riconosciuto un ruolo determinante nella corporate governance ed in particolare, nel suo dovere di vigilanza e controllo sull’amministrazione della società da parte degli amministratori. Tali controlli non si limitano semplicemente agli aspetti formali, ma devono estrinsecarsi in un’attività di tipo sostanziale che renda possibile intercettare anticipatamente comportamenti patologici. La legge, infatti, fornisce ai sindaci diversi strumenti da poter utilizzare, sia in proprio che congiuntamente, per l’esatto adempimento dell’incarico ricevuto. Ci si riferisce, in particolare, alle ispezioni, ai controlli ed alle richieste da formulare all’organo ammnistrativo in presenza di casi dubbi o di incertezze.
L’inerzia del sindaco - La Corte di cassazione con una sentenza risalente (08-01-2014, n. 563), ha affermato che “il reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi è determinato, prima ancora che dall’evento di pregiudizio per la società, dalla condotta di violazione degli obblighi relativi al conflitto stesso di cui all’articolo 2391 del C.c. Rispetto a tale condotta il mero atteggiamento passivo degli altri amministratori o dei sindaci interviene come fatto susseguente ed in sé non rappresentativo di un sostegno, anche solo di carattere morale alla violazione”. Più di recente, la Corte di cassazione, con sentenza depositata il 07-01-2019, n. 126, ribaltando il precedente orientamento, ha statuito che al collegio sindacale non è affidato un mero controllo di merito “(…) ma piuttosto l'obbligo di vigilare sull'adeguatezza delle strutture organizzative (…) al fine di rappresentare adeguatamente i fatti gestionali. (…) Le molteplici criticità emerse (…) furono segnalate sin dal 2007, con toni decisamente allarmati, (…) il che avrebbe imposto ai sindaci di fare ricorso all'uno o l'altro dell'ampio spettro di poteri loro attributi dall'art. 149 TUF. (…) Il rimprovero mosso (…) ai sindaci non è di non avere autonomamente rilevato le irregolarità, ma di aver mantenuto un contegno di prolungata inerzia nonostante le irregolarità fossero già emerse e fossero state segnalate da altra funzione aziendale interna. Il potere di controllo dei sindaci (…) si esplica anche attraverso i poteri di indagine ad essi attribuiti, con la conseguenza che il lamentato adempimento parziale dell'organo amministrativo non vale ad escludere la responsabilità dei sindaci". Sul presupposto delle argomentazioni sopra esposte ha rigettato il ricorso ed ha confermato la condanna inflitta al sindaco coinvolto nella fattispecie.
Da qui si ricava, inoltre, la configurabilità del reato di concorso, mediante omissione, del sindaco qualora la sua inerzia vada ad integrare l’azione e la conseguente responsabilità dei terzi.
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