La recente sentenza n. 3211 emessa dalla Quinta Sezione Penale della Corte Suprema ha significativamente riformulato il concetto di vigilanza aziendale, aprendo le porte a implicazioni legali di vasta portata per le imprese. Questo pronunciamento giudiziario ha comportato una significativa espansione del concetto stesso di vigilanza, con conseguenze profonde e rilevanti nel settore commerciale.
Un ruolo cruciale in questa evoluzione giuridica è stato giocato dal decreto legislativo 231 del 2001, il quale ha esteso il concetto di vigilanza al di là del mero controllo societario delineato nel codice civile. Secondo questa nuova interpretazione, la vigilanza ora abbraccia anche l'attività di supervisione o verifica che influisce sull'andamento economico e patrimoniale dell'azienda, equiparabile a quella svolta dai revisori o da altri soggetti formalmente incaricati.
La sentenza solleva con forza la questione del controllo sostanziale sulla società da parte di individui che potrebbero non detenere una carica formale nell'organigramma aziendale. Il decreto 231 stabilisce inequivocabilmente che l'azienda è responsabile per reati commessi non solo dai suoi vertici formali, ma anche da coloro che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.
Sebbene il codice civile fornisca alcuni indicatori presumibili per la gestione aziendale, come l'esercizio continuativo e significativo dei poteri di amministrazione, la definizione di controllo sostanziale rimane complessa e controversa. Tuttavia, la Corte Suprema ha chiarito che tale definizione non dovrebbe limitarsi al codice civile, ma dovrebbe allinearsi agli obiettivi del decreto 231, che mira a colpire le attività illegali delle società attraverso individui che agiscono per scopi illeciti.
Il modello 231, con il suo obiettivo principale di assicurare trasparenza e liceità agli stakeholder, è supportato da un sistema disciplinare che sanziona in caso di mancato rispetto delle regole da parte degli amministratori, impiegati e personale aziendale. Questo sistema disciplinare è implementato anche attraverso il Codice Etico aziendale, promuovendo i valori della Società e contrastando i reati precedentemente descritti nell'ottica dell'etica aziendale.
Nell'ambito della revisione legale, i revisori durante l'auditing verificano il rispetto del modello 231 e l'efficacia del sistema di controllo interno, concentrandosi principalmente sulle aree ad alto rischio come la tesoreria, la gestione dei contratti esterni, la sicurezza sul lavoro, la contabilità, il bilancio e i debiti tributari.
Secondo quanto stabilito dalla sentenza, almeno una delle funzioni di gestione o controllo deve essere effettivamente esercitata per attivare la responsabilità dell'azienda. Ciò implica che l'azienda può essere chiamata a rispondere per reati commessi anche dai membri formali del consiglio di sorveglianza, qualora essi svolgano effettivamente il ruolo di amministratori nell'azienda.
Un aspetto rilevante emerso dalla sentenza è che, se i reati sono commessi da coloro che gestiscono e controllano effettivamente l'azienda, l'azienda non può invocare l'adozione di modelli organizzativi come esimente. Questo sottolinea ulteriormente l'importanza di avere meccanismi di prevenzione dei reati robusti e adeguati.
La pronuncia della Corte Suprema ha altresì posto l'attenzione sull'importanza della protezione della proprietà intellettuale in un'era di concorrenza globale. Il reato di rivelazione indebita di segreti aziendali può configurarsi anche se riguarda solo una parte del processo produttivo, senza coinvolgere necessariamente l'intero prodotto.
In conclusione, la sentenza ha ampliato considerevolmente il concetto di vigilanza aziendale, ponendo un maggiore accento sulla supervisione effettiva delle attività e sulla prevenzione dei reati. Ciò mette una responsabilità più grande sulle imprese per garantire la conformità legale e evitare gravi conseguenze legali.
© FISCAL FOCUS Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata