23 giugno 2014

Clausola di stabilità. Recesso solo per giusta causa

Corte di Cassazione, sentenza n. 13335/2014

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Il fatto che il datore di lavoro opti per la stipula di un contratto con la c.d. “clausola di stabilità” con un proprio dipendente, non può che essere identificato nella sussistenza di una giusta causa di recesso, cioè di una ragione che comporti il venir meno del vincolo fiduciario. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13335/2014.

Clausola di stabilità –
La c.d. “clausola di stabilità” ha lo scopo di soddisfare l’interesse del datore di lavoro di assicurarsi la collaborazione del dipendente e di garantire a quest’ultimo la continuità della prestazione lavorativa attraverso la preventiva rinuncia della parte datoriale a recedere unilateralmente dal rapporto di lavoro.

La vicenda – Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha respinto il gravame proposto da una società avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo che aveva ritenuto non assistito da giusta causa il licenziamento dalla stessa intimato al proprio dipendente. Quindi, data l’illegittimità del licenziamento il primo giudice aveva condannato la predetta società al pagamento in favore del lavoratore dell'indennità sostitutiva del preavviso, oltreché alla corresponsione delle retribuzioni maturate sia durante il periodo di sospensione dal servizio che dopo il licenziamento, il tutto fino alla scadenza del periodo di durata minima garantita del rapporto di lavoro. La decisione di confermare quanto detto nella sentenza di primo grado, deriva innanzitutto dall’esclusione che il rapporto di lavoro dirigenziale svolto dal dipendente potesse ritenersi simulato, così come dedotto dalla società, per accertare, poi, che non ricorrevano nella fattispecie le condizioni per considerare legittimo il licenziamento intimato al dipendente prima ancora della scadenza prevista del periodo di durata minima garantita, essendo risultati infondati gli addebiti disciplinari contestatigli. La società, però, ritenendo di essere nel giusto impugna la sentenza e ricorre per cassazione, sostenendo che vi è stato un errore nella motivazione della sentenza impugnata, con riferimento all’interpretazione della clausola di stabilità laddove questa è stata ritenuta superabile solo in conseguenza di una giusta causa di recesso.

Sentenza – Gli Ermellini danno nuovamente ragione al dipendente. Secondo la società, la c.d. “clausola di stabilità” non può operare, in base all’interpretazione secondo buona fede, laddove il recesso sia legittimato, come nella fattispecie, da fatti sicuramente imputabili al dirigente, a prescindere dalla circostanza che si tratti o meno di giusta causa. Interpretazione, questa, in disaccordo con quella della Suprema Corte, la quale ha chiarito che una volta appurato che lo scopo della clausola in esame è quello di soddisfare l’interesse della datrice di lavoro ad assicurarsi la collaborazione del dirigente e di garantire a quest’ultimo la continuità della prestazione lavorativa attraverso la preventiva rinunzia della parte datoriale a recedere unilateralmente dal rapporto di lavoro, il limite a tale rinunzia non può che essere identificato nella sussistenza di una giusta causa di recesso, cioè di una ragione che comporti il venir meno del vincolo fiduciario. Da qui, dunque, la conferma di rigettare il ricorso della società.
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