12 aprile 2016

Contratto a termine: aspetti sanzionatori

Autore: Daniele Bonaddio
Il contratto a termine, disciplinato dagli artt. 19 e ss. del D.Lgs. n. 81/2015, è un contratto di lavoro subordinato, che differisce dalla forma comune del rapporto di lavoro (contratto a tempo indeterminato), in quanto bisogna indicare un tempo ben preciso di durata del contratto, ossia una data di inizio e fine del rapporto di lavoro. Si tratta di una tipologia contrattuale che risponde, in determinate circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori in maniera più efficace rispetto ad un contratto a tempo indeterminato. Se poi consideriamo anche il fatto che il contratto a termine è esonerato dal versamento del ticket NASpI, ecco che accresce l’appetibilità dell’istituto contrattuale.

Tuttavia, stipulare oggi giorno un rapporto a termine è un compito estremamente delicato, poiché – alla luce delle recenti riforme – molti sono gli aspetti di cui bisogna tenere conto per non incorrere in eventuali sanzioni amministrative, che possono tradursi talvolta anche in trasformazioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Vediamo quindi quali sono le particolarità che il datore di lavoro deve tenere d’occhio.

Contratto scritto e durata – Innanzitutto, bisogna ricordare che il contratto deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, mentre la durata non può essere superiore a 36 mesi per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro.

Attenzione però. In caso di superamento del predetto limite, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.

Divieti – Altro caso di conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato si ha qualora il datore di lavoro violi le fattispecie nelle quali non è possibile stipulare un contratto a termine (art. 20 del D.Lgs. n. 81/2015), ossia:
  • per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  • presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della Legge n. 223 del 1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
  • presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
  • da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi (DVR) in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Proroghe e rinnovi – Sempre in riferimento alla durata massima del rapporto di lavoro a termine, l’attuale disciplina prevede 5 proroghe massime; in caso di violazione di sforamento di detto limite, il contratto si trasforma a tempo indeterminato a partire dalla sesta proroga.

Per quanto concerne i rinnovi, invece, tra un contratto a tempo determinato e l’altro, bisogna rispettare i seguenti intervalli temporali (c.d. “periodi cuscinetto”) introdotti dal “Decreto Giovannini” (D.L. n. 76/2013):
  • 10 giorni, per i contratti inferiori a 6 mesi;
  • 20 giorni, per i contratti superiori a 6 mesi.

L’inosservanza dei termini converte il rapporto a tempo indeterminato.

Prosecuzione di fatto - Il datore di lavoro dovrà prestare la massima attenzione ai termini indicati nel contratto, poiché qualora il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato (prosecuzione di fatto), non vi è una immediata conversione rapporto di lavoro, bensì una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto, nei seguenti termini:
  • 20% fino al decimo giorno successivo;
  • 40% per ciascun giorno ulteriore (dall’11° giorno successivo).

Qualora il rapporto di lavoro continuasse:
  • oltre il 30° giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero;
  • oltre il 50° giorno in caso di contratto di durata superiore a sei mesi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini;

allora in quest’ultimo caso il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

Superamento assunzioni massime – Per quanto riguarda la violazione del limite massimo di assunzione di contratti a termine sul totale degli impiegati, pari al 20% (per esempio un’azienda con 10 dipendenti assume 3 lavoratori a tempo determinato), non scatta la conversione del rapporto di lavoro in uno di tipo indeterminato, bensì una sanzione amministrativa di importo pari:
  • al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
  • al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno.

Principio di non discriminazione – Infine, si segnala l’obbligo di rispettare il c.d. “principio di non discriminazione”, che riconosce al lavoratore a termine lo stesso trattamento economico e normativo in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato.

L’inosservanza dell’obbligo causa in capo al datore di lavoro una sanzione amministrativa che va da 25,82 euro a 154,94 euro. Importi, questi, che aumentano da 154,94 euro a 1.032,91 euro se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori.
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