Premessa – La Fondazione Studi CdL, con il parere n. 3 del 31 luglio 2013, ha analizzato la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970). Dall'analisi emergono alcuni passaggi critici in merito alla definizione del concetto di “partecipazione alla negoziazione”, che rappresenta attualmente il parametro per il conseguimento dei diritti sindacali. In particolare, gli esperti della Fondazione Studi hanno messo a fuoco la parte della norma in cui si riservano i diritti sindacali del Titolo III dello Statuto dei lavoratori esclusivamente alle organizzazioni “firmatarie” dei contratti collettivi applicati e non anche alle organizzazioni che hanno preso parte alla relativa negoziazione (senza poi sottoscrivere il contratto). Ma quali sono gli argomenti su cui la Consulta ha fondato la propria decisione di incostituzionalità?
Il caso – La questione, come oramai noto, è stata sollevata nel corso di più giudizi promossi dalla Fiom ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori (repressione della condotta antisindacale) nei confronti di società del gruppo Fiat. I sindacati ricorrenti lamentavano l’impossibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali in ragione della mancata sottoscrizione del contratto collettivo applicato nelle rispettive unità produttive, pur avendo attivamente partecipato alle trattative. In particolare, secondo i Tribunali di Modena, Vercelli e Torino il criterio selettivo basato sulla sottoscrizione del contratto selettivo, si pone in contrasto con una serie di parametri costituzionali: in primo luogo, per l’irragionevolezza di una soluzione basata sul “dato formale” della sottoscrizione del contratto “sganciato da qualsiasi raccordo con la misura del consenso dei rappresentati”, specie nell’attuale contesto storico “di rottura dell’unità sindacale”; in secondo luogo, perché il sindacato risulta condizionato “non solo dalla finalità di tutela degli interessi dei lavoratori, secondo la funzione regolativa propria della contrattazione collettiva, bensì anche dalla prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) i diritti del Titolo III”.
La Corte Costituzionale - La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le questioni sottoposte dai Tribunali, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 primo comma lett. b) della legge n. 300/1970 laddove non prevede che la RSA possa essere costituita anche nell’ambito di sindacati che, pur non essendo firmatari dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano “comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”. Nel dettaglio, la decisione della Corte poggia su due elementi principali:
- innanzitutto il sindacato nell’esercizio della sua funzione di autotutela dell’interesse collettivo deve essere privilegiato o penalizzato in funzione del rapporto con i lavoratori, misurato in base al dato oggettivo della rappresentatività, e non in funzione del “rapporto con l’azienda” cioè della disponibilità o meno a concludere un contratto con essa (altrimenti, si determina un problema di disparità di trattamento tra sindacati, rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost.);
- il modello dell’art. 19 post referendum, secondo cui la stipulazione del contratto collettivo è l’univa via per il conseguimento dei diritti sindacali, condiziona il beneficio “ad un atteggiamento consonante con l’impresa”, il che contrasta con i valori del pluralismo e della libertà di azione della organizzazione sindacale di cui all’art. 39 della Costituzione; si tratta, cioè, di un meccanismo che darebbe luogo ad una forma di “sanzione del dissenso”, tale da condizionare la libertà del sindacato nella scelta delle forme di tutela ritenute più idonee per i suoi rappresentati.
Da ciò ne deriva che la Corte non considera la sottoscrizione del contratto come parametro affidabile per misurare la rappresentatività del sindacato. Al riguardo, osserva sempre la Fondazione Studi, la capacità del sindacato (non solo di essere ammesso alla trattativa, ma) di condizionare il contenuto del contratto, ottenendo la sottoscrizione della controparte, non è un fatto del tutto neutro ai fini della misurazione della rappresentatività: è evidente, infatti, che il datore di lavoro ha interesse ad includere nell’accordo tutte le sigle effettivamente rappresentative in azienda, in grado di spiegare forme efficaci di lotta sindacale.
Partecipazione alla negoziazione – Infine, la Fondazione Studi evidenzia che l’aspetto più delicato sembra quello relativo alla definizione del concetto di “partecipazione alla negoziazione”, che rappresenta attualmente il parametro per il conseguimento dei diritti sindacali. A tal proposito, il punto di riferimento è la giurisprudenza della Corte Costituzionale sullo stesso art. 19, secondo cui è necessario che il sindacato dimostri la “capacità di imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale”, cioè che vi sia una “partecipazione attiva al processo di formazione del contratto” (sentenza n. 244 del 1996), concetto che viene ripreso anche dalla sentenza in commento ove si parla in più occasioni di “effettiva partecipazione alle trattative”. Il sindacato, dunque, deve essere presente al tavolo, ma deve anche dimostrare di essere accreditato dalla controparte nella trattativa, anche se in mancanza di accordo finale.