Si stringe sempre di più la morsa intorno a quelli che sono definiti “i furbetti dello shopping”: Amazon, il colosso americano dell’e-commerce, ha deciso di dimezzare i tempi dei prodotti soggetti a reso, che passa da 30 a 14 giorni.
In realtà una marcia indietro, visto che per l’azienda con sede a Seattle, quinta al mondo per capitalizzazione, i tempi lunghi della restituzione senza costi aggiuntivi erano sempre stati un vanto e una peculiarità. Ma i tempi cambiano e il numero di chi ne approfitta è cresciuto fino a diventare insostenibile, visto che il lungo periodo concesso per resi e rimborsi si era trasformato in una sorta di “prestito d’uso”: 30 giorni, giusto per togliersi lo sfizio di utilizzare un prodotto o per garantirsi il tempo necessario per realizzare una recensione, nel caso di creator o influencer. O ancora il “trucco” di restituire un prodotto quando il prezzo cala all’improvviso per poi riacquistarlo subito dopo ma a costi più vantaggiosi. Per non parlare dell’uso smodato nel settore del gaming, in cui molti restituivano il videogioco finito entro un mese dall’acquisto.
Nulla di illecito, sia chiaro, ma abitudini destinate a diventare assai più difficili dal 25 marzo prossimo, quando la nuova regola entrerà in vigore, anche se è prevista una fase di transizione di un mese – quindi fino al 25 aprile – perché sia compresa da tutti gli utenti.
Secondo un’inchiesta di “Fortune” di qualche mese fa, la politica dei resi ha ormai assunto contorni così ampi da avere un impatto negativo sui profitti aziendali: soltanto nel 2022 i resi sono costati ai rivenditori circa 816 miliardi di dollari di mancati profitti per via delle mancate vendite e dei costi di trasporto associati ai resi.
A questo si aggiunge la questione ambientale, visto che sempre nel 2022 la mole di prodotti restituiti ha prodotto 24 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 e senza contare che molti dei prodotti resi sono destinati alle discariche, aggiungendo al costo economico del fenomeno la colpa di aver ammorbato il pianeta con 9,5 miliardi di kg di rifiuti in più.
Quella di Amazon è una decisione che in Europa è partita dalla Germania e avrà a breve ripercussioni su tutti i mercati, Italia compresa, riferita a sette categorie di prodotti indicate con precisione dall’azienda di Jeff Bezos: computer (notebook, desktop, accessori e periferiche; elettronica (smartphone, cuffie, home audio, gps, actioncam, ereader); forniture per ufficio (stampanti, toner, inchiostro, calcolatrici); fotocamere (macchine fotografiche istantanee, reflex, mirrorless); musica, video e DVD (contenuti multimediali audio e/o video su tutti i supporti); videogiochi (console, giochi, accessori) e wireless (router e prodotti senza fili).
Sono esclusi dalle nuove norme di restituzione anticipata a 14 giorni i prodotti a marchio Amazon, come il “Kindle”, e quelli ricondizionati (Amazon Renewed). Un’eccezione, quest’ultima, che potrebbe scatenare azioni da parte di altre piattaforme e perfino la reazione dell’Antitrust, che per altro ha già ha sanzionato Amazon per un miliardo di euro per abuso di posizione dominante, decisione seguita da un’indagine statunitense che accusa il colosso di aver ideato politiche inizialmente favorevoli ai consumatori per creare un monopolio che si è trasformato in una minaccia per la libera concorrenza.
Le nuove regole si applicano a tutti i prodotti, a prescindere dal canale di spedizione e ogni cliente potrà visualizzare i nuovi tempo di restituzione in modo automatico nella pagina dei dettagli.
L’Italia, malgrado sia storicamente un Paese che ama poco i cambi di regole in corsa, secondo una ricerca “Nielsen” è uno dei mercati nei quali il 72% dei consumatori si è ormai abituato a controllare la politica di reso di un sito prima di effettuare un acquisto, con un picco del 52% che preferisce rinunciare se il periodo è inferiore a 30 giorni. Una ricerca che ad Amazon probabilmente è sfuggita.