Le nuove tecnologie telefoniche hanno un grande pregio: la possibilità di essere rintracciati sempre e dovunque. Ma questa è anche la loro maledizione: aver abolito il tempo libero e annullato di fatto l'orario di lavoro.
Un effetto di cui la giurisprudenza giuslavorista e la politica tentano di occuparsi da tempo, nel tentare di tracciare quello che comunemente è definito il "diritto alla disconnessione", ovvero quel sacrosanto momento della giornata in cui il lavoratore non può più essere reperibile, del tutto libero di non rispondere alle chiamate che arrivano dal lavoro.
Fino ad ora, in Italia, non esisteva una legge ad hoc su questo tema, ma solo una regolamentazione tramite contrattazione individuale fra datore di lavoro e lavoratore per gli accordi di lavoro agile, come previsto dalla legge 81/2017.
E proprio questo ha creato la giungla: oggi, per molti lavoratori, è difficile sottrarsi a comunicazioni elettroniche come e-mail, WhatsApp e SMS durante le ore non lavorative e nei giorni festivi. Al momento, il disegno di legge in discussione in Senato prevede due novità per mettere un freno a una situazione che spesso è sfociata in denunce: il primo, un periodo minimo di 12 ore di riposo tra un turno lavorativo e l'altro, il secondo, il diritto del lavoratore a non ricevere comunicazioni lavorative (email, messaggi, chiamate) al di fuori dell'orario di lavoro stabilito.
All'art. 3, il testo recita: "Il lavoratore ha diritto di non ricevere comunicazioni dal datore di lavoro o dal personale investito di compiti direttivi nei confronti del lavoratore stesso al di fuori dell'orario ordinario di lavoro previsto dal contratto di lavoro applicato e, comunque, per un arco di tempo minimo di dodici ore dalla cessazione del turno lavorativo".
Viene poi fatto riferimento anche a eventuali multe per i datori di lavoro reticenti: in caso di violazione si applica una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 500 a 3.000 euro per ciascun lavoratore interessato.
"Praticamente una sanzione nel caso in cui venisse comprovata una 'molestia digitale' da parte del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti vessati da continui richiami, bip, WhatsApp, mail di sollecito", ha commentato Filippo Sensi, senatore PD promotore del DDL in Senato.
Disposizioni che si applicherebbero d'ufficio alle aziende con più di 15 dipendenti, sia i lavoratori autonomi sia quelli il cui contratto nazionale non prevede già il diritto alla disconnessione.
A livello internazionale, molti Paesi hanno già introdotto normative sul diritto alla disconnessione, a cominciare dalla Francia, vera pioniera in materia che dal 1° gennaio 2017 ha introdotto il diritto alla disconnessione, obbligando le aziende a negoziare con i dipendenti le modalità di utilizzo degli strumenti digitali al di fuori dell'orario di lavoro. Più di recente ha preso posizione anche la Spagna, che ha discusso proposte di legge per ridurre l'orario di lavoro e introdurre il diritto alla disconnessione, con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita dei lavoratori. Per finire la breve carrellata di esempi con la Slovacchia, dove dal 1° marzo 2021 è stato introdotto il diritto alla disconnessione per i lavoratori in smart working, permettendo loro di non utilizzare gli strumenti di lavoro durante i periodi di riposo.
La proposta di legge italiana ha subito alzato il livello del dibattito: da un lato i sindacati, che vedono positivamente l'introduzione di una normativa che tuteli i lavoratori dall'eccessiva reperibilità, dall'altro alcune associazioni datoriali, preoccupate per le possibili rigidità che potrebbero derivarne, specialmente in un contesto lavorativo sempre più flessibile e digitale.
L'introduzione di una legge sul diritto alla disconnessione in Italia rappresenterebbe comunque un passo importante verso la tutela del benessere dei lavoratori nell'era digitale. Il confronto con le esperienze di altri Paesi europei evidenzia l'importanza di una regolamentazione equilibrata, che consideri sia le esigenze di produttività delle aziende sia il diritto dei lavoratori a separare vita professionale e privata.
La velocità dell'iter parlamentare, assegnato alla commissione Lavoro, potrebbe accelerare l'approvazione del DDL, segnando un progresso significativo nelle politiche del lavoro italiane.
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