Gli spagnoli esultano: se tutto andrà per il verso giusto, dall’inizio del prossimo anno il numero di ore settimanali passerà da 40 a 37,5, e senza perdere un euro in busta paga. È la proposta, inviata al Parlamento in questi giorni, nata da un tavolo di trattative in cui per quasi un anno intero si sono confrontati il governo, i due principali sindacati (UGT e CCOO) e una rappresentanza delle associazioni imprenditoriali, che hanno preferito abbandonare la trattativa poco dopo in segno di protesta, convinte che la riforma possa avere un impatto negativo sulla competitività del Paese.
Eppure, oltre al plauso dei sindacati, secondo cui le nuove regole avranno un impatto diretto su 13 milioni di lavoratori, in particolare su settori come ristorazione, informazione, commercio e comunicazioni, dove le giornate lavorative sono tradizionalmente più lunghe, tra le voci più entusiaste spicca quella di Yolanda Diaz, vice premier e ministro del lavoro: “Sono passati più di 41 anni da quando l’orario lavorativo nel nostro Paese è stato modificato, e la trasformazione non è soltanto un’altra variabile economica o lavorativa: è una misura che modernizzerà la Spagna. Abbiamo modificato l’art. 34, perché è dimostrato che dopo un certo tempo trascorso sul posto di lavoro non solo la produttività non aumenta, ma diminuisce. Quindi questo è l’elemento che andremo a correggere riducendo di mezz’ora la giornata lavorativa”.
Oltre alla riduzione delle ore, il progetto di legge include anche controlli sul rispetto del nuovo orario da parte dell’ispettorato del lavoro e sancisce anche il diritto alla disconnessione: “Nessun lavoratore dovrà rispondere a un’e-mail o a una chiamata fuori dall’orario di lavoro settimanale. La connessione permanente causa stress e danni alla salute”.
Ma la proposta può contare anche sull’autorevole parere del premier Sanchez, che ha fatto della “dignità del lavoro” una delle priorità del suo esecutivo, “perché tutti gli spagnoli lavorino per vivere, e non vivano per lavorare”.
E le buone notizie non si fermano qui, perché pochi giorni fa il governo ha anche deciso da quest’anno un ulteriore aumento del salario minimo del 4,4%, portando l'aumento totale da quando Sanchez guida il Paese a oltre il 60%.
In realtà, la proposta nasce per dare equità di trattamento a tutti i lavoratori, visto che i dipendenti pubblici e il comparto dell’istruzione hanno raggiunto da anni le 37,5 ore di lavoro settimanali, mentre secondo i calcoli Eurostat il numero medio di ore di lavoro settimanali effettive in Spagna è di 36,4.
È un po’ il quadro d’insieme della situazione spagnola, che si avvia a diventare uno degli avamposti europei della settimana corta, in realtà considerato soltanto un passaggio evolutivo di un Paese che registra il livello più basso di disoccupazione degli ultimi 15 anni e può contare su un’economia lanciata al galoppo, con risultati migliori di molte economie storicamente più “blasonate” e previsioni di crescita per il 2025 passate dal 2,4 al 2,6%.
Nel resto d’Europa, l’idea di diminuire l’orario settimanale di lavoro non è esattamente all’ordine del giorno, a parte casi come Germania e Irlanda, che hanno avviato progetti piloti e il Belgio, dove dal 2022 le aziende possono testare la settimana corta per sei mesi senza tagli agli stipendi, mantenendo però lo stesso numero totale di ore lavorative.
Secondo alcuni dati Eurostat, la media UE di ore settimanali lavorate è pari a 36,2, ma con numerose differenze che vanno dal minimo dei Paesi Bassi (32,4 ore) ai picchi di Grecia e Romania, dove al contrario le ore settimanali salgono a 39,7. In Italia, la media parla di 36,2 ore, con differenze legate al genere (39 gli uomini, 32,2 le donne).