Nell’era social, pare sia diventato indispensabile veicolare persino il Verbo di Dio attraverso i moderni canali di comunicazione, soprattutto se l’intento è quello di arrivare alla platea dei più giovani.
Reagendo ad una tale spinta, ecco allora che presso l’Università Pontificia Urbaniana è stato presentato nelle scorse settimane un nuovo, specifico “corso” - destinato al personale ecclesiastico - finalizzato ad insegnare come funziona il mondo del web con tutte le sue diramazioni, social inclusi.
Il corso (che, com’è intuibile, si svolge interamente online tramite piattaforme di videoconferenza) è stato realizzato in collaborazione tra l’UISG -Unione Internazionale delle Superiore Generali, la piattaforma iMisión e Católicos en Red (Cattolici sul Web) ed è rivolto, in particolare, alle religiose appartenenti all'Uisg ma è anche aperto ad ogni altro cattolico che sia interessato a promuovere l’evangelizzazione attraverso i social.
L’iniziativa – certamente apprezzabile se la si considera come il segnale che neppure ambiti tradizionalmente ed ideologicamente più conservatori possono restare in disparte rispetto alle istanze della modernità e dei tempi che cambiano – è d’altro canto apparsa in contraddizione con un concomitante intervento che il Vaticano ha promosso nei confronti delle 13 suore di un convento di clausura in quel di Pienza. Le audaci suorine avevano difatti aperto un profilo Facebook con cui promuovevano un piccolo mercatino per la vendita delle candele da loro stesse realizzate ed offrivano ospitalità presso il loro convento a giovanette tra i 18 e i 38 anni per "vivere un'esperienza nuova e condividere la nostra vita quotidiana", il tutto "a costo zero: penseremo a tutto noi". In quel caso la Santa Sede ha ritenuto di dover addirittura “commissariare” il convento, inviando un delegato apostolico per verificare l’operato delle suore, e rimuovere la Madre Superiora.
Tuttavia, anche questa vicenda può al più far sorridere e leggersi per quel che realmente significa: un esempio della difficoltà di conciliare spinte innovative con regole – ed in questo caso si tratta anzi proprio de “La Regola” per eccellenza, quella monastica dei benedettini - e fondamenti religiosi antichi non facilmente rivedibili.
Viceversa, non possono che considerarsi biasimevoli altre vicende che rivelano quanto, in fatto di tecnologie, il confine tra uso e abuso sia talvolta sottile, e la distorsione, l’uso malevolo e sconsiderato delle stesse addirittura perverso.
Mi riferisco a due a software di recente conio:
uno si chiama Re;memory ed è stato sviluppato da un’azienda sudcoreana, la DeepBrain AI. Esso, grazie all'intelligenza artificiale, è in grado di ricreare l'immagine virtuale di una persona defunta e di farla interagire con i suoi parenti.
In pratica, il “futuro morto”, prima di passare a miglior vita, si sottopone ad una lunga seduta di registrazione audio-video durante la quale parla di sé. I dati così raccolti vengono elaborati dall’intelligenza artificiale che è quindi in grado di “replicare” la persona, con tanto di voce e mimica facciale, per poi riproporla ai suoi parenti in videochiamata quando non ci sarà più, consentendole di parlare e rispondere alle loro domande.
Servirebbe ad aiutare l’elaborazione del lutto, secondo le intenzioni dell’azienda ideatrice; ma la trovata non è meno macabra di quel processo di diamantificazione delle ceneri pubblicizzato qualche anno fa da una nota azienda di pompe funebri con lo slogan “Era la luce dei tuoi occhi, continua a farlo rispendere”.
A ciò si aggiunga che il costo di questo “servizio” non è affatto economico: creare il proprio replicante costa trai 12mila e i 24mila dollari ed ogni videochiamata dei parenti ha un prezzo di circa 1200 dollari.
Il secondo è invece un software tutto nostrano, sviluppato dalla startup italiana ImpactOn, ed ha le stesse funzionalità di Chat GPT. Si tratta, difatti, di una chat cui risponde un’intelligenza artificiale, ma d’una ben precisa connotazione: gli interlocutori virtuali sono, infatti, i Santi!
Basta collegarsi al portale Prega.org ed appare immediatamente una schermata che invita a scegliere il santo cui si è devoti ed inviargli un pensiero o una preghiera. “Lui immediatamente ti risponderà con parole di vicinanza e di conforto.”
In verità qualche riga più sotto viene precisato che “Non si tratta veramente del Santo a cui sei devoto ma di una intelligenza artificiale che ha studiato i suoi scritti e risponde con le sue parole, i suoi pensieri” e che “ha lo scopo di trasmettere il messaggio del tuo amato santo così da diffondere a più persone possibili le sue virtù.”
Basta poi inserire il proprio nome e cognome, la propria email e il nome del santo con cui si vuole dialogare, e attendere. La schermata successiva precisa, infatti: “stiamo lavorando per creare una conversazione con il Santo a cui sei più devoto” e che non appena il “collegamento” sarà attivo, verrà inviata una notifica sulla email che è stata fornita in fase di iscrizione. Aggiunge però che, nel mentre, è possibile avviate una chat già attiva e disponibile nientemeno che con Padre Pio!
Non posso che riproporre nuovamente le considerazioni che ho già espresso a proposito di ChatGPT (si veda l'articolo “
Le relazioni pericolose” del 21 gennaio 2023) circa l’insidia che può celarsi dietro simili artifizi - soprattutto quando fanno leva sulla fragilità altrui – giacché sono in grado di creare vere e proprie dipendenze e temibili illusioni, al di là della bontà (tutta da dimostrare) dei contenuti veicolati.
Aggiungo una ulteriore considerazione, riallacciandomi ad un altro spunto: qualche giorno fa ho assistito ad una piacevole lezione di un mio collega che ha proposto alla classe la visione di un episodio di Black Mirror: si tratta di una serie televisiva britannica, di tipo antologico: ogni episodio, cioè, è a sé stante e finito, non legato agli altri. Il comune filo conduttore è però la tecnologia e il suo impiego in una realtà ambientata in un futuro molto prossimo a noi dove ha invaso ogni ambito dell’esistenza, rivelandone i suoi condizionamenti ed i suoi pericoli (lo “specchio nero” del titolo è riferito allo schermo nero di ogni televisore, computer o smartphone). Lasciando libera la riflessione allo spettatore, ogni episodio lancia tuttavia una provocazione, evidenziando come spesso il progresso possa diventare sinonimo di alienazione, dipendenza, perdita della dimensione del sé umano.
Ecco, di fronte a notizie come quelle riportate mi domando se davvero siamo incamminati sulla strada di un futuro come quello delineato dalla fiction e se il pericolo maggiore non sia proprio quello di essere così incoscienti da accettarlo nonostante ci pervengano da più parti segnali d’allarme.
Allora un utile esercizio che bisognerebbe fare è quello di imparare a domare la fascinazione di certe applicazioni della tecnologia per impedirle di prevalere sul buon senso, e dunque scongiurare il rischio che l’intelligenza artificiale possa inebetire quella umana.