Da una parte “Google”, colosso di Mountain View, California, che rappresenta il sito più visitato al mondo, con un fatturato pari a 182,5 miliardi di dollari, un utile netto di 40,2 miliardi e 135mila dipendenti. Dall’altra “Microsoft”, multinazionale informatica di Redmond, stato di Washington, che fattura 161 miliardi di dollari, vanta un utile netto di 60,6 e può contare su una forza lavoro pari a 221mila dipendenti.
In comune, due dei più grandi, solidi e ricchissimi imperi dell’universo tech hanno una caratteristica: consumano una quantità di elettricità pari a quella di 100 Paesi al mondo.
Lo racconta l’EIA Monthly Energy Review, l’inchiesta del giornalista Michael Thomas realizzata incrociando i dati della U.S. EIA (Energy Information Administration) con i report ambientali delle due aziende, è stata divulgata su “X” trasformandosi immediatamente in una denuncia diventata un caso destinato a scatenare polemiche a mai finire in un momento storico in cui due dei maggiori nervi scoperti del pianeta sono l’impatto ambientale e la “carbon footprint”, l’impronta di carbonio, unità di misura che calcola la quantità di emissioni di gas serra rilasciate nell’atmosfera da un’attività o una persona.
Figuriamoci un colosso della Silicon Valley.
Secondo le ricerche scientifiche di Thomas, Google e Microsoft hanno ormai raggiunto dimensioni tali da sfiorare i consumi di un Paese come l’Azerbaijan, ex repubblica sovietica con 10 milioni di abitanti e un fabbisogno energetico pari a 24 terawattora (TWh), poco meno di quanto consumato dalla Slovacchia, l’Ecuador o la Tunisia. Per essere ancora più chiari, l’Italia lo scorso anno ne ha consumati circa 300 per non far mancare l’energia a 60 milioni di cittadini e qualche migliaio di aziende più o meno grandi. Cifra che è perfino esagerata se invece dell’Italia si prende come esempio un Paese economicamente più arretrato come la Nigeria, che a fronte di quasi 220 milioni di abitanti, lo scorso anno ha consumato 32 TWh.
Va detto che in qualche modo consapevoli delle abnormi quantità di energia richiesta per sopravvivere – con Google che ha ammesso un aumento del 48% delle emissioni di CO2 dal 2019 ad oggi, e Microsoft del +30% - in tempi non sospetti entrambe le “Big Tech” avevano già manifestato tutte le più serie intenzioni di tagliare in modo drastico i propri bisogni energetici dandosi come data limite il 2030. Ma a frenare la strada verso un minor impatto ambientale è stata l’improvvisa e repentina ascesa dell’IA, l’Intelligenza Artificiale generativa, che per far funzionare gli algoritmi richiede una mole di energia impressionante e un mare di acqua dolce, a sua volta necessaria per raffreddare gli immensi data center sparsi in tutto il mondo, punti nevralgici che secondo l’Agenzia internazionale per l’energia nel 2022 divoravano circa 460 TWh, cifra che supererà quota mille entro il 2026, fra meno di due anni.
Se poi si dà per buona la previsione di Elon Musk, secondo cui entro il prossimo anno non ci sarà energia sufficiente per sostenere la crescita dell’intelligenza artificiale, è facile immaginare le possibili conseguenze. Ma visto che il mondo non può fermarsi e la tecnologia neanche, sono ormai sempre di più i Paesi e le aziende stesse che stanno rimodulando la propria repulsione verso il nucleare. Microsoft ha stretto unione con “Helion” con la previsione di iniziare entro il 2028 a produrre energia tramite fusione nucleare, mentre Google, al contrario, ha scelto di investire nella ricerca rivolta all’energia geotermica.
Una serie di indizi mescolati a cifre allucinanti, promesse e buoni propositi che portano dritti verso la conclusione a cui è arrivato anche Michael Thomas nella sua inchiesta-denuncia: un aumento abnorme dei consumi e delle emissioni di CO2 da parte di due delle aziende che più di tutte hanno cambiato l’esistenza al genere umano. E anche il pianeta in cui vive.
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