La pacchia, almeno per alcuni evasori, questa volta potrebbe davvero essere finita: dopo i tentativi andati a vuoto dei governi Conte prima e Draghi poi, l’esecutivo targato Meloni ci riprova, rinnovando il piano per collegare i pagamenti elettronici agli scontrini realmente emessi.
Il passaggio fondamentale del meccanismo, quello che da anni non permette a tutto il resto di funzionare come dovrebbe, è proprio lo scontrino fiscale elettronico che trasmetta direttamente il dato all’Agenzia delle Entrate, facendo finora unico affidamento sulla dichiarazione dei redditi del ristoratore o del commerciante, quindi senza nessuna certezza che tutti gli scontrini emessi siano realmente contabilizzati.
Un meccanismo che basato sulla fiducia verso il prossimo che fa acqua da tutte le parti e a cui il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è messo in testa di risolvere una volta per tutte, inserendo nel Piano strutturale di bilancio una proposta: “L’amministrazione si impegna ad effettuare un pieno collegamento delle informazioni derivanti dai pagamenti elettronici e dal registro dei corrispettivi. Tale misura consentirà per le operazioni al consumo finale (business to consumer, B2C) di potenziare la tracciabilità, tempestività e capillarità delle informazioni trasmesse dagli operatori all'amministrazione e, in modo strutturale, di contrastare l’evasione fiscale derivante da omessa dichiarazione”. In pratica, l’Agenzia delle entrate sarà in grado di incrociare tutte le transazioni dei titolari di carte di credito e bancomat con gli scontrini emessi da Pos di negozi, bar, ristoranti ed esercizi commerciali: se quelli realmente battuti saranno inferiori agli incassi di carte e bancomat, scatteranno le verifiche.
All’atto pratico, le possibili anomalie fra la mancata trasmissione di scontrini e gli importi incassati con moneta elettronica diventeranno evidenti, facendo emergere anche l’evasione più difficile da individuare, quella messa in pratica con il pieno consenso tra chi vende e chi acquista. Ma non basta ancora, perché a venire a galla saranno anche fenomeni criminali come il riciclaggio, rischio più volte segnalato dalla Guardia di Finanza. Il tutto, ovviamente, nel pieno rispetto della privacy, senza alcuna indicazione sugli utenti e le loro tipologie di spesa.
Ma perché funzioni, l’architettura dello scontrino elettronico ha bisogno di una serie di passaggi: l’esercente, che deve obbligatoriamente dotarsi di un dispositivo Pos attraverso una banca che, strano a dirsi, pretende di guadagnarci facendo pagare una cifra minima per ogni transazione. La banca entra in scena anche nel passaggio successivo, quello che riguarda gli utenti, a cui rilascia una carta (di debito o credito), forma di pagamento che raramente pretende commissioni sulle transazioni, ma si “accontenta” di un canone annuo. Resta ancora un passaggio, quello che consente a Pos e carte di dialogare tra loro e spalanca la scena ai circuiti di pagamento (Visa, Pagobancomat, Mastercard), che a loro volta pretendono un margine su ogni transazione. In questo, l’Italia è il Paese dove un macroscopico paradosso diventa realtà: al netto di 3,2 milioni di Pos attivi, il più alto d’Europa, viene denunciato il numero più basso di operazioni elettroniche pro-capite. Esattamente lì, nella terra di mezzo, si annida l’evasione.
Lo scorso giugno, la Cgia di Mestre ha quantificato l’evasione fiscale italiana in un baratro che vale 84 miliardi annui, malgrado il fisco conservi ogni anno 2,4 miliardi di fatture elettroniche e 1,3 miliardi di informazioni sui redditi e sui bonus utilizzati per le dichiarazioni precompilate. Dati che vivono su pianeti vicini ma difficilmente dialogano tra loro, permettendo a chi vuol fare di furbo di continuare a farlo.