Chiunque lavori o meglio ancora stia cercando occupazione, ormai l’ha imparato: quello che conta di più oggi sono le “skills”, termine tecnico che indica competenze e abilità, ormai accettato perfino dall’Accademia della Crusca fino ad inserirlo fra le nuove parole, corredata dal codazzo di declinazioni come “skillato”, definizione di “persona competente, esperta e dotata di particolari abilità in un dato campo, qualificata o specializzata”.
È proprio delle skills che è si occupata “People at Work 2025”, uno studio annuale realizzato dalla “ADP Research” con la collaborazione di aziende leader nell’HR, nato per fornire ai datori di lavoro gli strumenti necessari per affrontare le sfide e capitalizzare le opportunità.
Basato su dati di quasi 38mila lavoratori in 34 mercati distribuiti su sei continenti, lo studio analizza come la tecnologia, i dati demografici e il cambiamento delle norme stiano trasformando il mondo del lavoro. Il risultato è un campione rappresentativo della forza lavoro globale: gli interpellati provengono da un vasto panel di settori, con livelli di istruzione diversi e competenze e ruoli differenti, impegnati sia in presenza che in smart working.
“Per il quarto anno consecutivo – spiega il sito ADP - la massima priorità dei lavoratori risulta essere lo stipendio. Più del 55% dei partecipanti ha indicato la retribuzione come una delle tre priorità lavorative principali. Al contempo, i dipendenti sono più insoddisfatti dello stipendio che di qualsiasi altro attributo prioritario. I dipendenti delle economie in via di sviluppo hanno aspettative elevate riguardo all'aumento di stipendio.
Lo stipendio risulta una priorità per la maggior parte dei lavoratori, ma abbiamo rilevato differenze geografiche e generazionali per quanto riguarda altri valori professionali. La sicurezza professionale è una priorità importante per la metà dei lavoratori dell'Asia Pacifico, dove è seconda solo alla retribuzione. Al contrario, i lavoratori europei preferiscono svolgere un lavoro soddisfacente rispetto alla sicurezza professionale. Inoltre, i lavoratori giovani si stanno affermando come una chiara presenza globale. La formazione e l'esperienza sono una priorità per uno su cinque, un numero più alto rispetto a qualsiasi altra fascia demografica. E nonostante desiderino la flessibilità di poter lavorare dove e quando vogliono, i giovani adulti attribuiscono meno importanza alla flessibilità lavorativa che ad altri attributi, forse perché la considerano ormai un aspetto assodato”.
Quest’anno, in particolare, lo studio si è concentrato su un aspetto particolare: il potenziale inespresso dei lavoratori. E diventa curioso scoprire che solo un quarto della forza lavoro globale (il 24%) è certo di possedere le skills necessarie per ambire ad un aumento di livello, e solo il 17% concorda sul fatto che il proprio datore di lavoro stia investendo nelle competenze necessarie per il proprio avanzamento professionale.
Cifre che in Italia precipitano inesorabilmente: da queste parti, solo il 14% dei lavoratori crede nell’efficacia delle proprie competenze, e appena il 10% confida nell’impegno del datore di lavoro per la crescita professionale futura.
“I lavoratori italiani si lamentano di un aspetto curioso: il titolo professionale. Più del 16% di loro afferma di essere insoddisfatto del proprio, il numero più alto di qualsiasi altro Paese. A livello globale, lo segnala solo il 7% dei lavoratori e in Europa la percentuale è circa del 10%. In effetti, sono tanti gli aspetti di cui i lavoratori italiani non sono contenti. Proprio come la penisola stessa, l'Italia rappresenta un'eccezione anche nel nostro sondaggio, nel quale moltissimi lavoratori si sono detti insoddisfatti sotto svariati punti di vista. L'Italia è il primo Paese per insoddisfazione lavorativa sia a livello continentale che globale. Nonostante una crescita economica stabile, il debito pubblico in rapporto al PIL è elevato e in aumento. Tra i Paesi dell'OCSE, l'Italia ha uno dei tassi di crescita più bassi e uno dei tassi di debito pubblico più alti. È in corso un tentativo di privatizzazione. L'inflazione si sta allentando, ma rimane elevata”.
Il risultato non cambia la sostanza: è sempre più necessaria la creazione di programmi di formazione che garantiscano ai dipendenti una preparazione adatta ad un mondo che si evolve alla velocità della luce. E il compito di fornirli spetta ai datori, che devono fare la propria parte impegnandosi nella creazione e nel mantenimento di dipendenti “skillati”, per riprendere un concetto di qualche riga fa.
Un impegno, quando è reale, che significa meritarsi la gratitudine dei dipendenti, fino a 6 volte più propensi a consigliare la loro azienda ad altri professionisti, 3,3 volte più inclini a descriversi come altamente produttivi e due volte più convinti di non avere alcuna intenzione di lasciare la propria azienda.
L’esatto contrario, insomma, di ciò che pensano lavoratori costretti a mansioni ripetitive ogni giorno, portati ad avere una visione negativa della propria realtà lavorativa: solo il 9% degli uomini e il 7% delle donne si dicono soddisfatti delle opportunità di upskilling. “La nostra ricerca dimostra come una forza lavoro qualificata sia più leale verso il proprio datore di lavoro oltre che più produttiva – dichiara Nela Richardson, a capo di Adp – se le aziende vogliono trarre vantaggio dagli enormi progressi tecnologici in corso, dovrebbero investire nelle competenze e nell’avanzamento professionale dei loro dipendenti”.